Le culture ed i conflitti delle società umane

 

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Natura e civiltà

La natura preesiste alla cultura, che si manifesta solamente con la comparsa delle prime società umane. Oggi viviamo in un pianeta fortemente antropizzato, ma possiamo ancora immaginare come poteva essere il mondo tre o quattro milioni di anni fa, prima della comparsa degli antenati dell'uomo. Quel pianeta esisteva, ed ospitava una grande varietà di forme viventi. Oggi sono rimaste sulla Terra pochissime zone non influenzate in modo determinante dalla presenza umana, a parte i luoghi inospitali come i deserti e l'Antartide: osservando quanto accade in quelle zone, possiamo avere un'idea dell'aspetto del mondo naturale e del comportamento delle forme viventi in assenza dell'uomo e della civiltà. Usiamo il termine civiltà per indicare una cultura progredita, che coinvolge un numero significativo di esseri umani per un lungo periodo storico. Vi associamo inoltre la creazione di un'insieme di opere, una forma di organizzazione sociale complessa e differenziata, e una forma di trasmissione dell'informazione mediante la scrittura o con altri strumenti. Siamo poi inclini a pensare che la civiltà per antonomasia sia la nostra attuale civiltà occidentale, forte delle conquiste del sapere scientifico, della tecnologia e delle attività di trasformazione operate tramite l'industria ed il lavoro. Ma nel mondo esistono, anche ai nostri giorni, culture diverse, e tante altre ne sono esistite in passato: ognuna di esse ha avuto ed ha un significato ed un valore enorme per coloro che ne fanno parte.

La cultura si afferma anzitutto mediante la trasmissione di un insieme di conoscenze e di regole – riguardanti il mondo, la vita umana ed il comportamento sociale – ai nuovi membri (i bambini) allevati da coloro che son già integrati in quella cultura, cioè genitori, insegnanti, autorità ed altri appartenenti all'entourage sociale di cui il nuovo membro entra a far parte. La psiche dei bambini viene così programmata: vengono loro fornite le informazioni sul mondo e le istruzioni necessarie per poter crescere e vivere nell'ambito della cultura che li sta allevando, in relazione all'ambiente in cui essa si è sviluppata. All'interno di una cultura, ogni essere umano sperimenta una vita interiore che può essere molto diversa da un individuo all'altro e che determina, tra le altre cose, il grado di soddisfazione o di insoddisfazione con cui viene vissuta la vita. Così ogni cultura può presentare un duplice aspetto: in relazione alle manifestazioni oggettive ed evidenti si hanno le realizzazioni tecnologiche, le costruzioni, le opere, i documenti, le cerimonie, i rituali, oltre al potere di assoggettamento e di espansione, mentre nell'ambito della vita interiore dei suoi membri si riscontra una gamma di sentimenti e di emozioni che va dall'entusiasmo nei confronti della vita, felicemente vissuta, all'insoddisfazione, alla depressione ed alla sofferenza. E non di rado nello svolgimento temporale della vita di una persona queste dinamiche della psiche si manifestano a fasi alterne, in relazione alle vicissitudini sperimentate.

Le culture umane sono originate dalla psiche

Oggi, noi esseri umani siamo talmente abituati ed integrati nella nostra vita sociale e culturale da ritenere perfino naturale il bisogno umano di aggregarsi in società culturali. Non è così: l'esigenza umana di associarsi e di creare cultura esiste certamente, ma ha origine dalla psiche, non dalla natura. Attualmente su questo pianeta vivono oltre otto miliardi di esseri umani. Per alimentare un numero così elevato di persone è necessario trasformare buona parte della superficie terrestre in territorio utilizzabile per l'agricoltura e per l'allevamento. Questa trasformazione è sempre stata sentita dalle culture fondate sul rispetto per la natura e sulla sua sacralità come una violazione, ed in effetti l'equilibrio naturale deve essere alterato per poter assicurare la riproduzione ed il mantenimento di una quantità sempre maggiore di esseri umane. Gli Indiani americani, per esempio, erano impressionati dall'incredibile quantità di uomini bianchi che si riversava nei loro territori.

Noi occidentali siamo affascinati dalle conquiste della nostra civiltà e dal ruolo dominante che le ha permesso di imporsi ormai su tutto il pianeta. Non riteniamo che la nostra sia una cultura tra le altre, sullo stesso piano di dignità, ma la cultura per antonomasia, quella che ha conquistato – con la sua forza, la sua energia, e l'impegno e l'intelligenza dei suoi membri – il diritto di regolare l'intero genere umano, e di utilizzare e controllare tutte le risorse del pianeta. Gli appartenenti a culture diverse però non sempre hanno guardato alla nostra con occhio benevolo, anche se le loro critiche sono state spesso interpretate (non senza qualche ragione) come sintomi della loro inferiorità culturale. Certamente la nostra civiltà ci ha dotato di un potere tecnologico enorme, e di una quantità di conoscenze che ci permettono di sfruttare al massimo le risorse naturali. Questo è lo scopo per cui essa alleva ed addestra i suoi membri. Vi sono però altri aspetti, pur importanti per un essere umano, che non vengono soddisfatti in modo adeguato. Anzitutto non vi è libertà nella nostra scelta di aderire o meno ad una cultura: per il solo fatto di essere stati allevati ed educati in essa, ci troviamo a dover impegnarci per rispettare un contratto sulle cui clausole non siamo stati interpellati. È molto difficile sottrarsi al dominio della cultura di origine, sia perché siamo stati allevati e condizionati secondo le sue regole, sia perché il non adeguarsi comporta l'emarginazione nelle riserve del vagabondaggio urbano o extraurbano, una condizione non proprio allettante.

Conflitto tra natura e civiltà

La nostra cultura sostiene che l'aver emancipato gli esseri umani dallo stato di natura rappresenta per gli stessi un grande vantaggio, dato che la vita naturale comporta una quantità di disagi e di pericoli che non producono altro che sofferenza e dolore. È senz'altro vero che in natura il destino di tanti individui è soggetto alla sofferenza, che si manifesta a causa di incidenti traumatici, di mancanza di risorse vitali, di malattie, di lotte e conflitti tra una specie e l'altra o all'interno della stessa specie. Come si è visto, le forze creative all'opera sulla Terra non riflettono un ordine armonioso, un quadro corale nel quale ogni elemento si accorda con l'insieme, ma piuttosto una dinamica conflittuale e competitiva dove, apparentemente, c'è posto per tutti, ma il successo dell'uno comporta un prezzo da pagare per qualcun altro. È anche vero che spesso le popolazioni definite selvagge o primitive hanno manifestato una forte resistenza di fronte alla prospettiva di cambiare la loro condizione con la nostra. Si potrà dire che questo dipende dalla difficoltà, per una persona allevata in una cultura (qualunque essa sia), di adattarsi ad una cultura diversa dalla propria. Resta tuttavia il fatto che molte di quelle popolazioni che vivevano in una condizione di equilibrio con la natura non mostravano affatto un livello di sofferenza e di dolore superiore al nostro. Cristoforo Colombo, in una lettera inviata ai reali di Spagna, così descrive i Taino, nativi dell'isola di San Salvador: «Questa gente è così docile e così pacifica, che giuro alle Vostre Maestà che non vi è al mondo una nazione migliore. Essi amano i loro vicini come se stessi, ed i loro discorsi sono sempre dolci e gentili, ed accompagnati da un sorriso; e sebbene sia vero che sono nudi, tuttavia le loro maniere sono decorose e lodevoli». I Taino, una popolazione di centinaia di migliaia di individui all'epoca della scoperta dell'America, furono molto ospitali con gli europei: come conseguenza, nei successivi dieci anni furono completamente sterminati o ridotti in schiavitù.

Conflitti tra culture diverse

Se qualcuno sostenesse che l'esigenza di espandersi e di dominare è intrinseca ad ogni forma di cultura umana, potremmo rispondere che le culture dominanti hanno sempre sopraffatto con la forza quelle più miti. Un recente esempio storico di sopraffazione l'abbiamo nella conquista del vasto territorio abitato dagli indiani americani da parte di colonizzatori di ascendenza europea. Delle varie popolazioni tribù, alcune erano bellicose, altre più miti e pacifiche, ma il concetto di conquista e di proprietà territoriale era sconosciuto agli indiani delle praterie dell'America del nord, che consideravano la terra come madre comune di tutti gli esseri viventi. Invece la cultura espansiva europea dei coloni americani li spinse a sottrarre la terra agli indiani, relegandoli in territori sempre più limitati e privi di risorse. La densità di popolazione degli indiani era molto inferiore a quella dei coloni americani, dato che il loro modello di vita si fondava sul riconoscimento dell'importanza dell'equilibrio tra le risorse offerte dalla Natura ed il numero di esseri umani che ne possono usufruire.

Limiti della nostra civiltà

Per quanto riguarda la salute, l'equilibrio psichico interiore e la serenità, non possiamo dire che la nostra cultura sia in grado di soddisfare in pieno i nostri bisogni. È vero che il numero di abitanti di questo pianeta nell'ultimo secolo si è sestuplicato, e che l'organizzazione e gli strumenti di cui disponiamo ci permettono di far fronte, con un notevole drenaggio di risorse naturali, alle esigenze di nutrimento di un gran numero di esseri umani. Ma tutte queste persone sono sempre più dipendenti dalle strutture sociali in cui vivono, e sempre meno in relazione ed in equilibrio con la natura: da persone umane, si stanno progressivamente trasformando in masse di materiale umano. Sono un prodotto del nostro passato non tanto remoto anche le guerre e gli stermini di massa, il lavoro forzato ed altre forme più o meno camuffate di schiavitù e di sfruttamento, mentre anche ai nostri giorni l'impegno necessario per lo sviluppo tecnologico e la competizione economica richiedono molte energie umane: la nostra coscienza intelligente percepisce con sufficiente chiarezza che lo scopo di questo processo culturale non è l'evoluzione personale dell'essere umano, né il suo equilibrio interiore, né la sua felicità.

Per quanto concerne l'armonia sociale, la giustizia e l'amore per il prossimo, non si può dire che la nostra civiltà presenti un bilancio positivo. I rappresentanti delle istituzioni e coloro che determinano e condizionano gli orientamenti culturali fanno continue dichiarazioni di principio, piene di buoni propositi, la cui attuazione è resa difficile (se non impossibile) dalle contraddizioni stesse che la nostra condizione umana ed i modelli culturali ci impongono, e dalla scarsa inclinazione di coloro che, in base alle regole sociali, conquistano e detengono il potere. I fallimenti di queste buone intenzioni possono essere imputati all'inaffidabilità ed alla conflittualità della psiche umana – con riferimento anche a quella parte del nostro retaggio animale che oppone resistenza ad assoggettarsi alle norme della civiltà – dato che, se la vita viene rappresentata come competizione e lotta per il successo, inevitabilmente saranno valorizzate quelle risorse che permettono all'individuo di competere e di vincere, indipendentemente dai mezzi usati. Ci accorgiamo allora di come la nostra cultura presenti alcuni aspetti decisamente sconcertanti: da una parte limita la nostra libertà e promuove la competizione attraverso l'incremento del materiale umano, dall'altra non è in grado di soddisfare le aspirazioni più profonde dell'essere umano, ed attribuisce questa incapacità al mondo della natura ed al nostro retaggio animale. La leva principale mediante la quale la nostra cultura ci condiziona è la preoccupazione: noi siamo costantemente preoccupati per le conseguenze delle nostre scelte e per la nostra mancanza di risorse personali, ed in questo modo siamo sempre più indissolubilmente vincolati alle interazioni sociali.

Come abbiamo già osservato, noi esseri umani allevati nella cultura occidentale siamo fieri delle nostre conoscenze e delle conquiste tecnologiche, grazie alle quali possiamo esaudire i nostri desideri con l'abbondanza di beni di consumo e di risorse alimentari. Per questo, culture e conoscenze come quella degli indiani d'America vengono spesso interpretate dalla nostra psiche come belle e poetiche, ma anche – in un certo senso – infantili ed ingenue, dunque perdenti perché non adeguate alle esigenze di una civiltà tecnologica. Mai e poi mai, infatti, quelle popolazioni sarebbero state in grado di produrre le macchine, gli edifici e gli strumenti di cui noi disponiamo. Questo non può essere negato, ma quand'anche volessimo segnarlo all'attivo della nostra civiltà, al passivo avremmo una lista di misfatti, ad anche di stragi, con cui sono state decimate le culture diverse. Vi è poi la durezza della competizione con cui si impongono le varie strategie di lotta per il successo. Tutti possono dunque sottoscrivere il contratto con il quale dichiarano la loro soddisfazione di far parte di una certa civiltà o di un certo sistema sociale, a condizione che abbiano ben chiari quali sono i termini del contratto e qual è il prezzo da pagare, e siano consapevoli di esser stati programmati per rispettare queste condizioni.

Il futuro sviluppo della civiltà umana

Questa valutazione critica della nostra cultura sociale non intende rivalutare lo stato di natura, del quale abbiamo ben presenti tutti i limiti, i pericoli e le incognite che esso comporta per la vita degli esseri umani, e nemmeno vuole sostenere la possibilità di una cultura utopica e paradisiaca per la quale, nel nostro tempo, non vi sono né gli ambienti, né le risorse, né i numeri: la Storia è un processo complesso che non può essere modificato ad arbitrio, e soprattutto non in tempi brevi o solo con le buone intenzioni. È necessario tuttavia rendersi conto che i sistemi socioculturali umani non dipendono dalla natura, ma da altre forze che si manifestano attraverso la psiche. Inoltre, nel nostro tempo si ha quasi il timore che la natura possa svegliarsi da una specie di lungo sonno, e che possa manifestare nei confronti della psiche umana una sua reazione autonoma, non più supinamente acquiescente all'azione degli uomini. Le tensioni cui l'umanità andrà soggetta in futuro saranno fortissime, nonostante il potere della nostra tecnologia: la tensione interna alle grandi organizzazioni sociali è destinata ad aumentare, sia per l'incremento dei flussi migratori dei miserabili, che cercheranno di occupare i territori delle nazioni più ricche, sia per la perdita di prestigio e di autorità delle istituzioni, che non saranno più in grado di presentare ai cittadini un bilancio attivo del loro ruolo di governo. I benestanti faranno di tutto per cercare di difendere i loro beni, ma le masse dei poveri e degli emarginati aumenteranno. Il mito del progresso sociale e del benessere collettivo, su cui la cultura occidentale ha fondato fino ad oggi il suo predominio, si sta avviando al tramonto: al suo posto resta solo il timore del peggio.

Valutazione meccanicistica dei fenomeni naturali

È come se la psiche umana considerasse la natura come una bella addormentata, che lascia che gli uomini facciano di lei ciò che vogliono, indifferente alle conseguenze delle loro azioni, tanto da far dubitare dell'esistenza di una sua autonoma capacità di reagire. Nella sua incoscienza, la natura non si sente responsabile del destino delle creature che crea, e pertanto noi attribuiamo un'assoluta casualità agli eventi naturali che hanno un'influenza sulla vita di tutte le creature: venti, piogge, siccità, terremoti, ci sembrano fenomeni del tutto meccanici, privi di qualsiasi forma di controllo intenzionale. Anche se noi li definiamo fenomeni naturali, non riconosciamo alla natura nessuna consapevolezza, nessuna volontà, ma consideriamo quanto vi accade come il risultato di leggi puramente meccaniche, automatiche e, nella loro complessità, quasi caotiche. Siamo così persuasi dell'assoluta mancanza di una qualsiasi forma di consapevolezza naturale, che ci sembra un'assurda sciocchezza il tentativo di chiedere alla Terra di far piovere o di portare il bel tempo, come fanno certi sciamani appartenenti a culture primitive. La nostra psiche rifiuta questa possibilità, anche se poi non mancano le persone culturalmente disposte a pregare i santi affinché facciano qualche miracolo.

Limiti della rappresentazione della natura prodotta dalla nostra cultura

Eppure, se fossimo in grado di percepire nella natura una forma di consapevolezza, se riuscissimo a sentire la sua identità di creatrice e Grande Madre, ci sembrerebbe culturalmente così assurdo tentare di comunicare con lei, di stabilire una sintonia tra la nostra coscienza e la sua, anche per chiedere quello di cui abbiamo bisogno? La natura sembra dormire, assente, inerte, insensibile ed indifferente a tutto, anche al fatto che ogni giorno migliaia di bambini muoiono di fame, che la vita di centinaia di milioni di persone si trascina avanti tra stenti e sofferenze, che le catastrofi naturali distruggono territori, raccolti e popolazioni. E la nostra cultura, la nostra psiche, ha buon gioco nel rappresentarci la natura come ostile, e di convincerci che tutto ciò che siamo in grado di fare è difenderci lavorando, mettendo le nostre energie in comune, utilizzando le risorse tecnologiche per disboscare nuovi territori, rendere più produttivi quelli già disponibili, modificare gli equilibri naturali a nostro vantaggio. Così, nonostante i milioni di esseri umani che muoiono precocemente, la popolazione totale su questo pianeta continua a crescere ed a fare pressione sulle limitate risorse del pianeta.

L'amore e la simpatia che proviamo verso tutte le creature viventi, e soprattutto verso gli esseri umani, rendono questo quadro veramente sgradevole e deprimente, non solo per il fatto che ognuno di noi può essere tra le potenziali vittime di questo futuro incerto, ma anche perché è duro constatare che il mito del progresso, in cui tante generazioni hanno creduto e per cui hanno lavorato, s’infrange contro qualcosa che non era stato previsto. La reazione più comprensibile è quella di pensare che il quadro qui presentato sia ispirato non da una lucida analisi, ma solo da un assoluto pessimismo, così preferiamo credere che le organizzazioni, gli scienziati, i governanti, riusciranno a trovare i rimedi per risolvere i problemi immediati e futuri dell'umanità, nonostante l'aumento della popolazione ed il drenaggio delle risorse. E poi, perché mai la natura non dovrebbe continuare ad essere acquiescente, passiva e meccanica, a disposizione delle risorse e della volontà degli uomini, come è accaduto fino ad oggi? Il motivo potrebbe essere nella massa critica umana. La Terra è una pianeta vasto ma finito, per cui non può sopportare una crescita continua della massa umana. Noi non sappiamo con precisione quale sia il limite di questa massa, e possiamo credere che sia anche maggiore di quella attuale. Ma, come si è detto, nell'ultimo secolo l'umanità si è sestuplicata, e negli ultimi trent'anni si è raddoppiata: può darsi che sia stata raggiunta la massa critica, anche se noi non lo sappiamo, e che l'intensità della coscienza di una così grande quantità di creature umane con le loro miserie, le loro tribolazioni, le loro sofferenze e le loro attività stia risvegliando qualcosa nei processi naturali che sono a fondamento dell'esistenza stessa dei nostri organismi. Vedremo cosa ci riserva il futuro.


 

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