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La danza cosmica della materia, della Mente e della coscienza Lo studio dei mutamenti degli stati fisici nel tempo Forse qualcuno, nel leggere le pagine di questo blog, avrà l'impressione che i frequenti riferimenti all'energia della psiche umana e, soprattutto, alla dimensione dello Spirito, siano il prodotto di elaborazioni mentali alle quali non può essere attribuita, sotto il profilo della conoscenza, la stessa dignità e lo stesso valore che vengono riconosciuti ad altre forme del sapere umano, in particolare a quelle che vengono considerate come scienza. Alcune questioni relative alle capacità (ed ai limiti) della conoscenza, sulla base delle risorse di cui dispone la mente umana, sono state da me trattate qualche anno fa nella pagina La coscienza, la scienza, il cervello e la mente. Vorrei anzitutto ricordare che alcune delle forme di conoscenza su cui, in quanto umani, possiamo fare affidamento nei vari campi di approfondimento del sapere, si fondano, ancor oggi, sul consenso maggioritario di una comunità di specialisti (a cui non di rado si contrappone il dissenso di una minoranza), mentre solo in alcuni ambiti è possibile applicare in modo rigoroso il metodo scientifico (hard science). Tuttavia anche in questo caso, come sostenuto dal filosofo epistemologo Karl Raimund Popper (1902-1994), la validità di una teoria scientifica è tanto maggiore quanto più essa riesce a resistere, nel tempo, ai tentativi di dimostrarne gli errori, ma non si può mai avere la certezza che essa sarà eternamente valida. Più pragmaticamente, noi possiamo valutare la consistenza e l'efficacia delle conoscenze acquisite verificando le possibilità di predizione e di controllo che ci offrono, soprattutto mediante le loro applicazioni tecnologiche: il progresso della conoscenza scientifica è infatti strettamente connesso con la tecnologia, anche perché le osservazioni necessarie per l'acquisizione dei dati da elaborare richiedono strumenti tecnici sempre più complessi e precisi. Resta il fatto che, come vedremo, in conseguenza della dimensione che sperimentiamo come esseri umani, la nostra scienza deve sempre fare i conti col problema del tempo. Un primo effetto del tempo sulla conoscenza umana – compresa la hard science – consiste nel fatto, in sé ovvio, che ciò che ci è dato di sapere è strettamente correlato all'epoca storica in cui viviamo. Anche se attualmente siamo ancora inebriati, per così dire, dal consistente progresso delle conoscenze scientifiche e delle realizzazioni tecnologiche che si è verificato soprattutto in questi ultimi due secoli, non possiamo sapere in quale forma si manifesterà la conoscenza umana, per esempio, tra mille o duemila anni. Analogamente, perfino i più intelligenti tra gli umani vissuti mille anni fa – pur disponendo delle conoscenze relative alla loro epoca – avrebbero avuto difficoltà anche solo ad immaginare gli sviluppi attuali della scienza e della tecnologia. Questa relativizzazione temporale della conoscenza umana implica una difficoltà, che non possiamo risolvere, in merito alla validità permanente delle nostre conoscenze, perché le capacità conoscitive della mente umana sono in gran parte determinate, ed anche condizionate, dai programmi culturali ereditati dallo sviluppo storico delle conoscenze, i quali sono pur sempre una manifestazione delle dinamiche della psiche: dunque, da qui ad un migliaio di anni, la psiche umana potrebbe determinare un sistema di conoscenze molto diverso da quello attuale, che verrebbe percepito come più evoluto dagli umani che vivranno in quell'epoca, per il solo fatto di essere successivo. Quando noi immaginiamo una futura espansione delle conoscenze scientifiche che sia in grado di spiegare progressivamente sempre meglio i vari aspetti della realtà fisica e di darci un controllo sempre maggiore sugli eventi e sulle energie dell'universo, ci affidiamo semplicemente ad un atto di fede: l'esperienza storica delle dinamiche psichiche mostra infatti che anche l'attuale ciclo della conoscenza scientifica potrebbe – in un futuro più o meno remoto – esaurirsi, o quanto meno rallentare il suo impulso, richiedendo sempre più risorse ed energie per ottenere risultati dal valore limitato ed incerto. Per fare un esempio di ciò che intendo, ricordo che nel luglio 1969, quando gli astronauti americani misero per la prima volta piede sulla Luna, la notizia dell'impresa suscitò un grande entusiasmo: in effetti si trattava di una straordinaria conquista per l'umanità, ottenuta con ingenti risorse e con un grande impegno (era l'epoca della competizione per la conquista dello spazio) in tempi relativamente brevi. Per effetto di quel risultato, l'immaginazione collettiva dell'epoca amplificava la portata di quell'impresa, e quasi tutti eravamo inclini a credere che nei decenni successivi sarebbero state create basi lunari e l'uomo sarebbe poi sbarcato anche su altri pianeti, quanto meno su Marte. Invece, trascorso più di mezzo secolo, possiamo constatare come quell'impresa – ripetuta sei volte, l'ultima nel dicembre 1972, ma senza sviluppi di rilievo – sia ormai considerata conclusa, mentre altre missioni interplanetarie con equipaggio umano presentano rischi e costi che ne rendono molto difficile il successo con le attuali tecnologie. Nel frattempo la soluzione dei problemi e delle difficoltà causate dallo sviluppo tecnologico, dall'incremento della popolazione umana e dallo sfruttamento delle risorse qui sulla Terra richiede sempre più energie, al punto che non abbiamo più alcuna certezza in merito al futuro che ci attende. Va tenuto inoltre presente che lo stretto legame attualmente esistente tra il sistema sociale che consente la produzione tecnologica avanzata ed il progresso delle conoscenze scientifiche richiede una sufficiente stabilità degli equilibri sociali su cui si fonda il sistema produttivo: stabilità che può essere messa in crisi dai cambiamenti ambientali e dai conflitti generati dalla competizione umana per il controllo delle risorse. Per queste ragioni, non si può escludere che anche l'attuale sistema della conoscenza scientifica non possa andare incontro, in futuro, ad un periodo di declino, dopo la notevole espansione degli ultimi secoli. C'è un altro aspetto, molto più complesso ed interessante, che riguarda l'effetto del tempo sulle osservazioni scientifiche. All'inizio della rivoluzione scientifica alcuni uomini cominciarono ad eseguire esperimenti, consistenti nell'osservazione di stati fisici e nella descrizione dei loro mutamenti nel tempo: uno stato fisico veniva cioè osservato nel tempo T1, poi nel tempo T2, poi nel tempo T3, e così via. La descrizione degli stati fisici veniva integrata da una quantificazione degli elementi misurabili. Infine, mediante gli strumenti offerti dalla matematica, venivano dedotte delle regole (comunemente definite leggi) che consentivano di prevedere le trasformazioni future di un certo stato fisico dato. Nel periodo iniziale dello sviluppo della scienza il problema dell'influenza dell'osservatore umano sulla qualità della conoscenza non veniva nemmeno preso in considerazione, anche perché, almeno fino a Newton, l'origine spirituale dell'intelligenza umana era data per scontata, dunque la realtà fisica poteva essere osservata, indagata ed interpretata perché era considerata come qualcosa di oggettivamente diverso e separato rispetto alla mente che la studiava. Pertanto il successo della scienza era dovuto alla sua capacità di prevedere stati fisici futuri: le applicazioni tecnologiche delle conoscenze scientifiche consentivano poi ai gruppi umani organizzati di ottenere i risultati desiderati e previsti in diversi campi di applicazione. Questa capacità di previsione, di invenzione e di controllo, di cui le società umane hanno potuto beneficiare negli ultimi secoli, è stata resa possibile dalla stabilità delle leggi fisiche nel tempo e nello spazio, stabilità che veniva data per scontata nella fisica classica, ma che può ancor oggi esser considerata vera, con buona approssimazione, ai fini pratici. Si riscontra tuttavia che le leggi fisiche – nella forma in cui sono elaborate dalla mente umana – non possono essere applicate a tutti gli aspetti degli stati fisici osservabili, e di conseguenza la nostra capacità di prevedere e di controllare resta limitata, e non può essere estesa ad ogni campo. Gli errori e l'incremento della complessità Il presupposto della conoscenza scientifica è dato dalla certezza attribuita dalla nostra mente al fatto che le leggi fisiche debbano essere costantemente rispettate: in pratica, non ammettono nessuna possibilità di errore. Si dà per scontato, per esempio, che la legge di gravitazione universale sia rispettata sempre ed ovunque, nel tempo e nello spazio: di conseguenza non è ammissibile che un giorno l'orbita della Terra intorno al Sole venga modificata, per un errore occasionale privo di una causa. Questa perfezione attribuita all'universo fisico, che si ritiene – con buone ragioni – debba comportarsi sempre ed ovunque in accordo con le leggi elaborate dalla mente umana, è quanto meno sorprendente: è vero infatti che le nostre osservazioni degli stati fisici e dei loro mutamenti nel tempo ce ne danno valide conferme, ma è altrettanto vero che a volte dobbiamo modificare le leggi fisiche precedentemente adottate, elaborandole di nuovo in modo che possano meglio adattarsi ai fatti osservati ed ai nuovi dati di cui disponiamo. Alla fine dell'Ottocento la scienza ha dovuto abbandonare il presupposto, alquanto ingenuo, in base al quale la mente umana era in grado di scoprire le leggi eterne dell'universo fisico: oggi dobbiamo accontentarci di attribuire all'intelligenza umana la capacità di elaborare modelli mentali – essenzialmente matematici – che siano in grado di fornire un'interpretazione sufficientemente approssimata dei cambiamenti negli stati fisici dell'universo, e di farci prevedere con la maggior precisione possibile un evento futuro sulla base dei dati attuali. Come vedremo tra poco, ci sono ambiti in cui tali previsioni sono affidabili, ed altri in cui non lo sono. È evidente, tuttavia, che oggi molti scienziati sono diventati ben consapevoli del fatto che la nostra conoscenza dell'universo fisico è determinata dalle risorse intellettive di cui disponiamo (o meglio: di cui dispongono alcune persone particolarmente dotate), e dai limiti che tali risorse presentano. La capacità di previsione offerta dalla conoscenza scientifica, per cui – dato un certo campo di osservazione – ad una serie di cause seguono gli effetti previsti, viene chiamata determinismo. Quando il determinismo, valido in certi ambiti della conoscenza, pretende di essere applicato ad ogni aspetto della realtà fisica, si trasforma in meccanicismo. Proprio il trascorrere del tempo ci dimostra come non sempre sia possibile prevedere le trasformazioni di un certo sistema fisico osservato: infatti, nel verificare i cambiamenti nel tempo di un sistema fisico, la scienza fa di solito riferimento ad un sistema – contenuto in un campo di osservazione definito e limitato – il cui livello di complessità (cioè il contenuto di informazione) non varia negli intervalli di tempo considerati. Ma, come è stato spiegato nella pagina sull'origine della vita, in un intervallo di tempo sufficientemente ampio il livello di informazione presente in un sistema delimitato può aumentare: se consideriamo il pianeta Terra come un sistema osservabile, vediamo come da uno stato iniziale al tempo T1, nel quale tutte le sostanze presenti si trovavano al livello di atomi, di ioni o di molecole semplici, si possa poi passare ad un tempo T2, nel quale sono presenti molecole molto più complesse, formate da un elevato numero di atomi vincolati tra loro in una struttura spaziale sufficientemente ordinata e stabile entro certi limiti, sulla base di leggi che ancor oggi conosciamo solo in parte. Il fatto che noi oggi sappiamo, per esperienza, che queste trasformazioni si sono effettivamente verificate, non implica che, se avessimo osservato il sistema al tempo T1, saremmo stati in grado di prevedere gli effetti delle trasformazioni osservabili al tempo T2. Questa imprevedibilità, determinata dall'incremento della complessità informatica di un sistema fisico, è ancora più evidente nel processo di evoluzione della vita sul nostro pianeta: se per ipotesi avessimo potuto osservare quel sistema al tempo T1 in cui erano già presenti i primi organismi cellullari procarioti, pur avendo una conoscenza dettagliata di tutte le sostanze e le energie presenti nel sistema, non avremmo potuto prevedere le trasformazioni che avrebbero portato, dopo molti milioni di anni, ad un tempo T2 nel quale avremmo osservato l'esistenza di alberi, di insetti, di funghi, di meduse, e di una grande varietà di altri organismi unicellulari e pluricellulari. Per le stesse ragioni, anche se diamo per scontato che le leggi fisiche da noi conosciute siano valide in ogni luogo di quest'universo, non siamo in grado di sapere in quali forme quel processo che noi chiamiamo vita si sia manifestato in un pianeta simile alla Terra, ma appartenente ad un altro sistema solare: non possiamo neanche dire con certezza se tale processo si sia verificato. C'è anche un altro importante aspetto da tenere presente, dato che ha un forte impatto sulla prevedibilità delle trasformazioni degli stati fisici: via via che aumenta il livello di complessità di un sistema fisico, riscontriamo che aumenta anche la possibilità che nei processi trasformativi avvengano degli errori. La questione dell'errore è in sé piuttosto difficile da digerire, perché indebolisce il metodo su cui si fonda la nostra conoscenza: infatti l'errore consiste in un evento anomalo rispetto al normale iter delle trasformazioni degli stati fisici, sulla base delle leggi che regolano tali mutamenti. Se vogliamo applicare il determinismo in senso stretto, un errore non dovrebbe mai verificarsi, ed il fatto stesso che nonostante tutto si verifica significa che noi non conosciamo bene tutte le varianti e le leggi implicate nella trasformazione dello stato fisico che stiamo investigando. Ma poiché possiamo constatare che nel funzionamento degli organismi viventi nel nostro mondo, compresi i nostri organismi umani, errori di vario genere si verificano continuamente, non possiamo più adottare una coerente interpretazione determinista dei fenomeni della vita organica. Basti dire che alcune correnti dell'evoluzionismo ritengono che la varietà degli organismi viventi sia conseguenza degli errori di trascrizione del codice genetico, aggiungendo – in mancanza di conoscenze più soddisfacenti – che tali errori sono dovuti al caso. Se possiamo accontentarci di una forma di conoscenza di questo genere, eccoci serviti! Di fatto, è certo che possono avvenire errori di trascrizione nel codice genetico: ma perché di norma no, ed occasionalmente sì, ed in percentuali così minime? È la stessa complessità dei sistemi organici che ci ha impedito, almeno fino ad oggi, di dare una risposta soddisfacente a queste domande. Molte delle nostre conoscenze sono ancora di tipo empirico: si basano cioè sulla constatazione di certi fatti e delle relazioni che li legano, senza che riusciamo a conoscere le cause che determinano gli effetti riscontrati. Alcuni farmaci, per esempio, vengono utilizzati perché è stato verificato empiricamente che possono alleviare certi sintomi oppure favorire la guarigione di alcune malattie – anche se non sempre e non per tutti – senza che se ne conosca con precisione il meccanismo funzionale: inoltre, resta sempre da comprendere l'enigma dell'effetto placebo. Non è detto che il metodo scientifico, che tanto successo ha avuto in alcuni campi di indagine, possa dare risultati altrettanto validi in ogni ambito della conoscenza. In effetti in tutte quelle discipline come la storia, l'economia, la sociologia, la psicologia, ecc., che hanno per oggetto i comportamenti e le attività di un sistema complesso qual è l'organismo umano e le interazioni tra una pluralità di tali organismi, il metodo scientifico hard non può essere applicato: si utilizzano dunque altre forme di studio convenzionali, i cui risultati sono in parte convalidati ed in parte contestati dall'establishment accademico. I prodotti di tali studi consistono prevalentemente in elaborazioni mentali – dunque di origine psichica – che cercano di spiegare una serie di dati acquisiti. Ovviamente, anche per quanto riguarda la hard science viene il momento in cui la mente dello studioso deve elaborare un sistema interpretativo dei dati acquisiti, ma la differenza sostanziale consiste nel fatto che gli strumenti di elaborazione della scienza si avvalgono di sistemi di calcolo matematico che portano alla conoscenza di leggi da verificare poi sperimentalmente, mentre per le discipline umanistiche questo tipo di verifica è spesso impossibile. Resta pertanto da valutare qual è il ruolo della mente umana nella costruzione di ciò che viene considerato come conoscenza. Da cosa ha origine l'elaborazione mentale? L'attività mentale ha un ruolo fondamentale nell'elaborazione della conoscenza, anche nel caso più semplice, in cui devono essere correttamente impostate ed applicate quelle equazioni matematiche che portano alla formulazione delle leggi che regolano i cambiamenti degli stati fisici di un sistema. Quando invece è necessario sviluppare una teoria interpretativa dei dati osservati, l'elaborazione mentale gioca un ruolo fondamentale: se è possibile ideare ed eseguire esperimenti di convalida della teoria, saranno i risultati degli stessi a determinarne il successo o il fallimento, mentre nel caso in cui questo non sia possibile, il successo di una teoria sarà determinato dal suo potere di convincimento, cioè dall'effetto esercitato sull'attività mentale delle altre persone. Quello che più ci sorprende è che per molto tempo la conoscenza è stata considerata come la scoperta delle leggi di una realtà oggettiva, senza che venisse dedicata attenzione alla natura del soggetto che scopriva tali leggi, o alla qualità delle risorse di cui disponeva. Se possiamo considerare corretta l'impostazione per cui la mente umana osserva, descrive, rivela e conosce la realtà fisica di questo mondo, a fronte dell'enigma rappresentato da tale realtà fisica dovremmo anche considerare il mistero dell'attività mentale. Possiamo cercare di studiare l'attività mentale da due punti di vista: 1) l'osservazione degli stati fisici del cervello e degli effetti dei processi che vi si verificano; 2) l'osservazione degli eventi mentali (psichici) sperimentati dall'io cosciente. Nessuno dei due metodi di investigazione può essere considerato valido sotto il profilo dell'oggettività: per quanto riguarda il secondo, è evidente che l'io cosciente può sperimentare direttamente solo i propri stati mentali, che possono essere comunicati ad un altro io mediante il linguaggio e l'espressione del corpo, con tutti i limiti e le possibilità di errore che tali forme di comunicazione comportano. Ma anche l'osservazione degli stati cerebrali può essere eseguita, quando è possibile, solo su un singolo cervello, ed a causa della complessità di quest'organo l'interpretazione degli stati osservati presenta non poche difficoltà: di conseguenza, è necessaria molta cautela nell'estendere ad ogni cervello gli effetti dei processi singolarmente osservati. Le difficoltà maggiori intervengono quando si tenta di interpretare gli stati mentali sperimentati dall'io alla luce delle osservazioni eseguite sugli stati fisici del cervello. Ma, prima ancora di considerare tali difficoltà, vale la pena di approfondire la nostra comprensione del processo che ha portato alla formazione del cervello umano, dato che gli eventi mentali sperimentati dall'io cosciente durante la vita organica dipendono dal funzionamento più o meno efficiente di quest'organo. Le teorie che attualmente interpretano questo processo sono, con ogni evidenza, elaborazioni mentali, che risultano più o meno convincenti – almeno per un cervello ben funzionante, in grado di svolgere un corretto ragionamento – sulla base dell'affidabilità delle osservazioni eseguite e delle informazioni che si possono trarre da tali dati. Non è infatti possibile, almeno allo stato attuale, tornare indietro nel tempo per verificare direttamente ciò che è accaduto nel passato: d'altra parte, non si può nemmeno negare valore alla correttezza di molte informazioni dedotte dalle tracce del passato pervenute fino a noi. Possiamo considerare attendibili le ricostruzioni delle varie fasi dell'evoluzione degli organismi sul nostro pianeta, sulla base dei reperti fossili ritrovati e della datazione delle rocce, entro i limiti di precisione consentiti dai metodi su cui tale datazione si basa. Inoltre, gli studi sulla biologia dei milioni di specie pluricellulari attualmente viventi (il numero di specie degli organismi unicellulari è stimato in varie centinaia di miliardi) ci presentano un quadro della loro crescente complessità, che ci consente ragionevolmente di ordinare nel tempo l'evoluzione delle forme viventi, dalle più semplici alle più complesse. Nella pagina sull'Evoluzione della vita ed in quella su La vita e la coscienza del febbraio 2021, sono state presentate alcune delle teorie interpretative attualmente più accreditate di questo fenomeno, e ne sono stati messi in evidenza i punti deboli. Abbiamo già osservato come il processo creativo sia quel fenomeno per cui un organismo appartenente ad una specie complessa che non esisteva al tempo T1, sia poi presente al tempo T2, successivo a T1 di un periodo sufficientemente lungo. Proprio in virtù di questo processo creativo, si è progressivamente formato e sviluppato quell'organismo dotato di un cervello che rende possibili le varie attività umane, compresa l'elaborazione delle varie forme di conoscenza. Il ruolo di acquisizione della conoscenza assegnato all'io, in quanto soggetto cosciente, sembra avere una sua importanza: l'io infatti può sentire non solo il desiderio, ma anche la necessità di incrementare le proprie conoscenze, spinto dalle esigenze e dalle difficoltà che la vita organica comporta, e dalle dinamiche in cui la psiche umana lo coinvolge. Ma se l'elaborazione mentale di una teoria conoscitiva ci porta a considerare l'io cosciente soltanto come un epifenomeno del funzionamento del cervello, tutto sembra ridursi ad una rappresentazione piuttosto esoterica, stravagante nel suo sviluppo temporale, nel corso della quale il processo creativo si nasconde a se stesso, per poi via via scoprire alcuni aspetti parziali del suo modo di funzionare, mediante il frazionamento della coscienza in una pluralità di organismi dotati di un'identità fittizia per un tempo limitato. Questa danza cosmica elaborata e complessa, la cui esecuzione è scandita dai ritmi temporali, esercita un indiscutibile fascino sull'io cosciente, il quale – alla luce delle stesse premesse su cui si fonda tale interpretazione teorica – non sarà mai in grado di verificare la realtà o meno di questa creazione della psiche. Infatti un prodotto (nel nostro caso il cervello umano) non potrà mai elaborare altro che ciò che il suo progettista e costruttore gli permette di elaborare, ed una frazione di un sistema soggetto a continue trasformazioni evolutive nel corso del tempo non può conoscere il funzionamento dinamico dell'intero sistema. Inoltre, da qui ad un'epoca futura sufficientemente remota il processo evolutivo potrebbe mettere a punto un nuovo strumento, ben più complesso del cervello umano, in grado di elaborare forme di conoscenza molto più progredite ed essenzialmente diverse da quelle attuali. Resta il fatto che la teoria interpretativa che considera l'io cosciente esclusivamente come il prodotto dell'attività cerebrale non ha il valore di una conoscenza scientifica. Si può sostenere, altrettanto a buon diritto e con un maggiore livello di plausibilità, che l'io cosciente si sviluppi nell'organismo umano anche per effetto dell'influenza di un'entità non fisica che si impegna per conoscere determinati aspetti di una dimensione che le risulta aliena, interagendo con essa. Il funzionamento del cervello umano – prodotto dal processo evolutivo della vita – rende possibile e nello stesso tempo limita ad una ridotta gamma di frequenze, per così dire, la ricezione dell'energia trasmessa da quest'entità, che possiamo chiamare mentale: di conseguenza l'io può diventare cosciente della sua energia mentale in misura molto variabile da un organismo all'altro. Ma proprio per effetto di quest'energia l'umanità si è differenziata rispetto alle dinamiche che regolano il funzionamento naturale degli altri organismi viventi sul nostro pianeta: infatti le attività mentali ideative, conoscitive, comunicative, organizzative e collaborative che caratterizzano gli esseri umani, sia individualmente che nelle loro interazioni di gruppo, hanno prodotto e continuano a produrre quegli sviluppi culturali e sociali che non trovano riscontro nel mondo animale, ed anzi possono entrare in conflitto con le stesse dinamiche naturali. L'influenza esercitata dall'energia mentale sulle dinamiche della vita organica ha fatto sì che, nel tempo, si siano verificati e sedimentati nella psiche quei mutamenti che hanno trasformato le dinamiche che governano la natura, ed in particolare la vita degli organismi animali più evoluti, in quelle che attualmente caratterizzano la psiche umana. L'energia bipolare di quest'ultima è una conseguenza dell'inevitabile compromesso determinato dalla coesistenza delle esigenze e dei limiti del funzionamento organico con la libertà creativa dell'energia mentale. Di generazione in generazione, in un modo caratteristico per ogni cultura, la psiche umana trasferisce in ogni nuovo organismo umano allevato in quella cultura i programmi di funzionamento messi a punto per gestire a proprio vantaggio la tensione che si crea tra i suoi due poli. L'io si inserisce in questa danza cosmica – quanto meno limitatamente a ciò che accade nei dintorni del pianeta Terra – come soggetto che sperimenta (mediante la coscienza) ed interpreta (tramite l'attività mentale) una parte degli effetti che il processo evolutivo produce. Se è vero che l'io può subire – come non di rado accade – gli inganni in cui le dinamiche della psiche umana lo irretiscono, è anche vero che esso cerca costantemente un metodo che gli consenta di conoscere la realtà dei fenomeni indagati, al di là delle illusioni a cui il funzionamento della mente lo espone. In quanto soggetto cosciente l'io acquista un ruolo di primo piano nei confronti del processo creativo – al quale partecipa direttamente – perché la sua attività conoscitiva ed interpretativa contribuisce a determinare lo sviluppo degli eventi, indipendentemente dal fatto che ciò che gli sembra vero sia più o meno conforme alla realtà. Il potere acquisito dalla psiche umana è tale per cui è sufficiente che un certo numero di persone si convincano di qualcosa per farle agire di conseguenza, con effetti di ogni genere sulle relazioni interpersonali e sulle stesse dinamiche naturali del pianeta. Dunque sia le teorie che interpretano la realtà in termini di funzionamento deterministico degli stati fisici, escludendo l'influenza di energie di natura diversa, sia le forme di conoscenza che riconoscono l'intervento di entità spirituali nelle dinamiche che stanno alla base della vita umana, sono determinate dall'attività della psiche umana, ed acquistano consistenza e forza in virtù del loro potere di convincimento e di attrazione nei confronti dell'io cosciente. Va comunque riconosciuto che, in assenza della possibilità di convalide scientifiche, empiricamente si riscontrano più elementi sperimentali a favore dell'esistenza di una dimensione spirituale che può coinvolgere l'io cosciente, rispetto a quelli che tendono ad escludere tale possibilità. In questo quadro, le esperienze nella dimensione dello Spirito riportate in molte NDE hanno un'importanza fondamentale per l'io cosciente, anche perché aggiungono nuovi elementi al campo delle informazioni accessibili alla conoscenza: l'importanza non dipende dallo strumento che rende possibili tali esperienze, ma dal valore che l'io attribuisce ad esse. Cerco di spiegarmi meglio con un esempio. A causa di un incidente d'auto, una signora perse coscienza della realtà di questo mondo ed ebbe una NDE quasi istantanea che essa così racconta: «La mia NDE non è stata la classica storia di passare attraverso un tunnel per dirigersi verso una luce brillante o incontrare i parenti premorti o Dio. Ricordo un'oscurità totale e il senso di una calda presenza, serena e confortante, che mi circondava. Ero immersa nella pace e nella tranquillità. Mi venne data istantaneamente una conoscenza totale e assoluta di tutte le cose! Provai una meraviglia estatica perché sapevo tutto su tutto ciò che c'era da sapere nell'universo, proprio là ed in quel momento. È stato incredibilmente entusiasmante comprendere tutto quel potere derivante dalla conoscenza della fisica, dell'astronomia, della psicologia, della medicina, dell'agricoltura, della meteorologia, della chimica, ecc. ecc. Sapevo tutto su come funziona il mondo fisico e quello spirituale. Ho provato un'elettrizzante euforia nell'essere "in cima al mondo", e mi sono sentita così piena di gioia nel possedere la Verità ultima. Nel tempo terrestre, quell'esperienza probabilmente è durata da secondi a minuti, ma è stata l'esperienza più gratificante che abbia mai conosciuto». Da questa descrizione, risulta ben evidente come per l'io cosciente della protagonista sia molto importante il fatto di aver sperimentato questa forma di conoscenza divina così emozionante e gratificante, mentre l'io di chiunque ascolti o legga questo racconto difficilmente può restare indifferente nei confronti della possibilità di sperimentare qualcosa di analogo, anche se in una condizione critica per la vita del proprio organismo. Certamente la ricerca scientifica può indagare gli stati fisici e le reazioni elettrochimiche che hanno luogo in alcune aree del sistema cervello, per tentare di individuare quali interazioni neurali siano determinanti per queste come per altre esperienze: tuttavia non può mai prescindere dalla narrazione dell'io dello sperimentatore per la descrizione dell'esperienza, proprio perché il determinismo non può essere applicato a sistemi complessi come la mente umana. Inoltre le diverse sintonie della psiche determinano una varietà di interpretazione delle NDE da parte di coloro che ne ascoltano o ne leggono la narrazione senza averle sperimentate direttamente: alcuni hanno l'esigenza di attribuirle al funzionamento del cervello in particolari condizioni di criticità, sentendosi così rassicurati nella loro visione esclusivamente organica dell'esistenza dell'io cosciente, mentre altri le considerano come una prova del fatto che l'io cosciente può continuare ad esistere dopo la morte dell'organismo. Ma chi ha sperimentato direttamente la dimensione dello Spirito non si pone nemmeno il problema, se non entro il limiti in cui vi è costretto dal ritorno ai condizionamenti della vita organica, e dunque dall'essere di nuovo coinvolto – almeno in parte, e comunque in modo diverso da quanto gli accadeva prima dell'esperienza – dalle dinamiche della psiche umana. L'unica cosa che veramente ed intensamente li interessa è poter far ritorno a quella dimensione per sperimentarne i vari aspetti in modo permanente, o quanto meno per un periodo sufficiente a rigenerarsi nell'energia amorevole dello Spirito. Non va infine dimenticato che il processo evolutivo che ha portato fino allo sviluppo del cervello umano può essere considerato come una manifestazione (parziale e localizzata) della Mente cosmica, che produce ed usa l'energia e le leggi fisiche per scrivere nel tempo quella storia creativa di cui anche i nostri organismi – e dunque i nostri cervelli e le loro elaborazioni mentali – fanno parte. Il ruolo della coscienza nella danza cosmica Ci rendiamo dunque conto di come, da un quadro ingenuamente semplice nel quale una non meglio identificata mente umana (intesa come attività di cervelli singoli o collaborazione tra un gruppo di cervelli) scopre i segreti di una realtà fisica oggettiva e le leggi che ne governano le dinamiche, siamo pervenuti ad una rappresentazione ben più complessa in cui la coscienza gioca un ruolo fondamentale. Infatti l'io, nel prendere atto dell'esistenza del proprio organismo e del proprio cervello come strumento sintonizzatore dell'attività mentale che determina la sua capacità di conoscere, nello stesso tempo riflette sia sulla complessità del processo evolutivo che ha determinato nel tempo l'incremento di informazione necessaria a produrre uno strumento così elaborato come il cervello, sia sulla propria essenza di entità cosciente connessa ad un organismo che sente comunque come alieno, vulnerabile e non di rado dolente, del quale cerca costantemente – tra successi e fallimenti – di svelare i misteri. Le varie interpretazioni di origine psichica dell'interazione dinamica tra i vari elementi che determinano questa danza cosmica, sui cui futuri sviluppi temporali l'immaginazione si può sbizzarrire come meglio crede, hanno rappresentato in passato, e continuano a costituire ancor oggi, il motore che determina il cosiddetto progresso dell'umanità. Ma dal punto di vista della conoscenza tali interpretazioni, pur risultando più o meno affidabili alla luce dei dati su cui si basano, non offrono sufficienti requisiti di verifica e di controllo. In ogni caso, l'elemento nuovo e veramente sorprendente che si inserisce nel gioco della creatività universale è rappresentato dalla coscienza e dal ruolo che essa svolge. Ovviamente, la coscienza a cui faccio riferimento è quella sperimentata dall'io in quanto soggetto cosciente: si tratta di una forma di coscienza tipicamente umana, che non esclude l'eventualità che esistano altre forme di coscienza, anche più evolute della nostra, senza che tuttavia riusciamo ad entrare in contatto con esse. Le uniche altre forme di coscienza di cui abbiamo una certa conoscenza intuitiva sono quelle presenti nel mondo animale, in particolare negli animali domestici o in quelli appartenenti alle specie superiori, che riescono a manifestare mediante le espressioni mimiche ed i comportamenti i loro stati emotivi ed affettivi. Manca però alla coscienza animale la capacità comunicativa del linguaggio, in grado di codificare attraverso il pensiero e la riflessione i risultati di tutte le elaborazioni mentali di cui l'io cosciente può fare esperienza. Non siamo dunque in grado di sapere se, e in che misura, un cane o un orango si pongano domande relative all'origine del loro organismo, al significato della loro vita o all'essenza del loro io: di sicuro nessuna delle altre specie di organismi viventi sul nostro pianeta è stata in grado di sviluppare forme di cultura, di conoscenza e di creatività paragonabili a quelle del genere umano. D'altra parte, è anche vero che negli esseri umani la coscienza raggiunge diversi livelli di campo d'azione, di ideazione e di approfondimento, dai più semplici e superficiali ai più complessi ed impegnativi: in effetti il fatto di essere coscienti di qualcosa comporta spesso un interesse dell'io, nel suo ruolo di soggetto cosciente, verso ciò che tramite la coscienza viene sperimentato, spesso automaticamente, ma a volte anche tramite elaborazioni mentali volute e guidate dall'io stesso. Dunque anche la coscienza ha una sua complessità che merita, almeno così mi sembra, qualche ulteriore riflessione sulla sua ragion d'essere e sul suo ruolo nei confronti del processo creativo della Mente cosmica e delle dinamiche della psiche umana. In queste pagine è stato sempre dato molto risalto all'importanza dell'autopercezione diretta e naturale con cui l'io riconosce la propria esistenza come soggetto cosciente, in modo istintivo e, entro certi limiti, automatico. Abbiamo anche sottolineato come spesso, soprattutto nella prima parte della vita, l'io si identifichi pressochè completamente con le dinamiche psichiche che lo coinvolgono e come, anche sulla base dei programmi di condizionamento culturale ricevuti, si abitui a considerare come indissolubile e socialmente importante il vincolo che lo lega al proprio organismo: di fatto, se si prescinde dalle dinamiche interiori della psiche che l'io sperimenta direttamente, ognuno di noi, in quanto tu, è riconosciuto dagli altri io come un organismo che agisce, si comporta ed interagisce mediante il linguaggio e le altre forme di manifestazione espressiva ed emotiva. In queste condizioni, la coscienza è una funzione essenzialmente interiore, che consente all'io non solo di sperimentare le proprie dinamiche psichiche, ma anche di avere la percezione della propria esistenza in quanto soggetto sperimentatore. Tuttavia, data la complessità della psiche e la varietà delle sue forme che l'io può sperimentare tramite l'attività mentale, il ruolo dell'io nei confronti delle dinamiche della psiche di cui diviene cosciente non è sempre passivo ed esclusivamente ricettivo, ma non di rado può diventare attivo, sollecitante ed indagatore: sotto questo aspetto un ruolo importante, nell'ambito dell'attività cosciente, è giocato dall'attenzione, dall'impegno e dalla costanza con cui l'io stimola la propria psiche a produrre determinati risultati. Possiamo dunque fare riferimento ad un livello qualitativo della coscienza, associando alla sua funzione quelle risorse intellettive ed inventive nei confronti dell'elaborazione e del controllo delle dinamiche psichiche, che consentono all'io di fruire di queste ultime in modo costruttivo, creativo, e – per certi versi – utile. Come si vede, questo ruolo di sollecitazione e di fruizione della propria attività mentale svolto dall'io mediante la coscienza può essere interpretato dall'io stesso sia come proprietà acquisita a buon diritto su ciò che la sua mente produce, come conseguenza della frammentazione della coscienza in una pluralità di organismi, sia come manifestazione ed espressione particolare di quel processo evolutivo che ha prodotto e fa funzionare lo strumento cerebrale: quest'ultimo è in grado di sintonizzare ed elaborare quelle varie trasmissioni della Mente cosmica che diventano patrimonio della psiche umana. Nella nostra attuale cultura prevale l'interpretazione che attribuisce all'io la proprietà ed i diritti su quanto la sua mente produce, ma in passato l'io ha a volte intuito che il suo impegno e la sua volontà avevano lo scopo di attingere, per così dire, ad una sorgente trascendente di energia mentale. Forse è questa la ragione, per esempio, per la quale Bach siglava molte delle sue opere con l'acronimo S.D.G. (Soli Deo Gloria), riconoscendo in questo modo che il merito delle sue invenzioni musicali andava attribuito al processo creativo della mente, del quale l'io era il fruitore. In ogni caso all'io va riconosciuto un ruolo importante sia come sperimentatore delle dinamiche psichiche che i vari eventi della vita organica determinano, sia come ricercatore e verificatore infaticabile nei confronti delle più o meno soddisfacenti forme di conoscenza, di intuizione e di invenzione che l'attività mentale elabora e gli propone. Sotto questo aspetto, anche quelle forme di autorappresentazione di cui l'io in genere si accontenta per riconoscere se stesso ed il significato della propria esistenza, nascondono qualcosa di molto più profondo e misterioso, che l'io può intuire – e conoscere in qualche misura – solo se dispone di una coscienza di buon livello qualitativo. L'io sa di essere vincolato al suo corpo – di cui riconosce, ammira e cerca di conoscere la complessità informatica – ed al funzionamento del proprio cervello per quanto riguarda le esperienze nella dimensione della vita organica. Sa anche che mediante la sua attività mentale – resa possibile dal cervello – può conoscere, in misura più o meno precisa, alcuni aspetti della realtà del mondo fisico e, sempre per effetto della creatività della mente, può influenzarne e determinarne in modo consistente le trasformazioni. Può inoltre intuire che il suo ruolo e la sua attività di sperimentatore cosciente non si limita al periodo di tempo in cui il suo organismo gli consente di vivere in questa dimensione, anche se, almeno fino ad ora, non gli è dato di comprendere in che modo e con quali strumenti può avvenire il transito dallo stato in cui è vincolato al funzionamento del proprio organismo allo stato in cui è libero di sperimentare altre dimensioni psichiche o spirituali. D'altra parte anche l'esperienza umana diventa per l'io un evento sorprendente, nel momento in cui diventa consapevole – prendendo le distanze dalle dinamiche psichiche con cui tende ad identificarsi, e soprattutto da certi programmi di condizionamento culturale che gli sono stati trasmessi – delle straordinarie potenzialità di cui dispone in quanto soggetto cosciente, soprattutto se è dotato di risorse di creatività mentale. In questa condizione, se l'io si sente legato a qualcosa, questo qualcosa è la Mente creativa universale, piuttosto che quell'aspetto fisico delle sostanze di cui è composto il suo corpo, che non rappresentano altro che le lettere dell'alfabeto mediante il quale la Mente elabora la complessa storia delle sue evoluzioni creative, realizzate mediante la varietà e l'incremento di informazione degli organismi viventi. Una volta compreso tutto questo, può l'io raggiungere una ragionevole certezza – al di là di ogni convinzione fideistica – sul fatto che la sua essenza cosciente potrà continuare ad esistere anche dopo la morte di quell'organismo a cui si è sentito vincolato durante questa vita? Allo stato attuale, non può, anche se coloro che hanno direttamente sperimentato una NDE affermino spesso di essere assolutamente certi della sopravvivenza dell'io alla morte del corpo. Sotto il profilo del valore probativo di tali esperienze, il problema nasce dal fatto che esse restano pur sempre minotarie, ed in un certo senso elitarie, anche tra le persone il cui organismo si è trovato in condizioni molto critiche. Inoltre, com'è evidente, l'organismo di tutti coloro che hanno potuto raccontare la loro NDE è stato rianimato, dunque la condizione critica in cui si è trovato può essere definita di sospensione della vita, o di morte temporanea che avrebbe potuto anche trasformarsi in morte permanente: certamente non si è trattato di uno stato irreversibile. Questo può lasciare qualche dubbio sull'eventuale ruolo del cervello nel sintonizzare tali esperienze, anche se – come si è visto – per quanto riguarda l'interesse, l'importanza ed il valore per l'io cosciente dell'esperienza nella dimensione dello Spirito, il fatto che essa possa essere stata determinata dall'attività cerebrale è del tutto irrilevante. Inoltre, coloro che sono convinti che tutte le NDE siano un prodotto dell'attività cerebrale dovrebbero spiegarci quali trasformazioni del sistema operativo del cervello – in conseguenza dello stato critico in cui l'organo si è trovato – potrebbero determinare quei notevoli cambiamenti di orientamento dell'io che non di rado si riscontrano in coloro che hanno sperimentato la dimensione dello Spirito nel corso della loro NDE. In ogni caso, una volta che l'io abbia ricevuto una quantità sufficiente di informazioni affidabili sulla possibilità di accedere alla dimensione dello Spirito, gli deve essere riconosciuto il diritto a sperimentarla direttamente, qualora ne senta l'esigenza ed il richiamo. O, per meglio dire, è lo stesso io cosciente che dovrebbe difendere e sostenere questo suo diritto, più nei confronti di se stesso e delle dinamiche della psiche che vorrebbero negarglielo, che non nei confronti dello Spirito: infatti quest'ultimo viene sperimentato come un'energia che emana un amore assoluto ed incondizionato, e che esercita un potere di attrazione magnetico sull'io, il quale – una volta entrato nel campo di azione di quell'energia – sente di essere finalmente tornato a casa, in una dimensione realmente congeniale alla sua autentica essenza. Dunque non ha senso ritenere, o temere, che lo Spirito possa respingere l'io, quando quest'ultimo, liberato dai condizionamenti della vita organica e della psiche umana, si sentirà attratto dall'energia spirituale, per una legge analoga a quelle attive nella nostra realtà fisica, come la gravità o il magnetismo. È vero che nel corso della vita umana, per effetto dei condizionamenti derivanti dalle esigenze dell'organismo e dal potere coercitivo della psiche, l'io può abituarsi a considerare se stesso come un'entità debole ed irrilevante, assoggettata a forze superiori che gli impongono un certo destino senza tener conto delle sue più alte aspirazioni, ma anzi manovrandolo tramite illusioni, desideri, speranze e timori di evidente origine psichica: si tratta tuttavia di una condizione sperimentale legata alla vita organica. Gli stessi dubbi dell'io riguardo alla possibilità di una continuazione della sua esistenza cosciente in seguito alla morte del proprio organismo sono determinati dall'energia della psiche, la quale esercita il proprio indiscusso potere in questa dimensione, ma lo perde appena l'io riesce a trovare il modo di liberarsi dal vincolo dell'organismo e di tornare a quella dimensione spirituale da cui si sente attratto. Si tratta, comunque, di un vero e proprio cambiamento di dimensione, per il quale non mi sembra corretto utilizzare il termine sopravvivenza, almeno finché facciamo riferimento alla vita nella sua accezione organica: sarebbe preferibile mettere l'accento sulla continuità dell'esistenza dell'io come soggetto cosciente, il quale – al termine della vita organica – esplora un'altra dimensione e va incontro ad esperienze molto diverse rispetto a quelle a cui si era abituato confrontandosi con la psiche umana. La stessa esistenza di dimensioni così diverse e di norma separate l'una dall'altra è talmente sorprendente – almeno finché l'io vive vincolato al proprio organismo – che non di rado le persone che raccontano le loro NDE sentono etichettare le proprie esperienze come allucinazioni, sogni sui generis, o audaci fantasticherie del cervello prive di qualsiasi fondamento reale: questo accade nonostante lo sperimentatore affermi con convinzione – come si è visto – che la realtà dell'esperienza era di livello superiore a quello della realtà ordinaria, quale noi la sperimentiamo in questa vita nello stato di veglia. L'esigenza da parte della psiche umana di negare l'eventuale esistenza di altre dimensioni non soggette al suo controllo è talmente forte, che si preferisce attribuire al cervello umano ogni sorta di straordinario potere creativo e rappresentativo, piuttosto che riconoscere la sua funzione di sintonizzatore di programmi e di realtà che restano pur sempre trascendenti. Quanto alle attuali conoscenze scientifiche sul funzionamento del cervello e sulle modalità con cui esso sintonizza ed elabora le esperienze psichiche che coinvolgono l'io tramite la coscienza, esse sono ancora molto rudimentali, e per ora non si vede come possano superare il limite imposto dall'osservabilità degli stati fisici dei circuiti neurali, allo stesso modo in cui non è possibile per gli esseri umani allontanarsi oltre una certa distanza dal pianeta Terra.
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