La NDE angosciante di Nancy Evans Bush

 

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Le ricerche di Nancy Evans

Come esempio significativo di NDE caratterizzata da connotati negativi (anche se non classificabili come infernali, se messi a confronto con quanto invece si riscontra in altre drammatiche esperienze di questo tipo) viene qui riportata quella di Nancy Evans Bush, tradotta dal suo libro Dancing Past the Dark: Distressing Near-Death Experiences (Danzando oltre l'oscurità: NDE angoscianti). Si tratta di uno studio molto interessante sulle NDE negative, pubblicato nel 2012, nel quale l'autrice esamina tanto l'iter storico delle pubblicazioni sulle NDE e dell'enorme interesse suscitato presso un vasto pubblico per i loro contenuti quasi esclusivamente paradisiaci, quanto il significato culturale e personale delle esperienze angoscianti, che pure esistono, anche se certamente piacciono meno.

L'esperienza della Evans risale ai primi anni '60, quando all'età di 28 anni, nel dare alla luce con qualche settimana di anticipo la sua seconda figlia, fu ricoverata d'urgenza ed anestetizzata. Per vent'anni non parlò quasi con nessuno della sua NDE: non solo non sapeva nemmeno che le NDE fossero oggetto di studi, ma lei stessa era impegnata a rimuovere gli sgradevoli effetti della sua penosa esperienza, dunque non aveva nessuna voglia di  rievocarli o di rielaborarli. Fu solo nel 1982 che, alla ricerca di un lavoro temporaneo, lesse un annuncio dello IANDS (International Association for Near-Death Studies) relativo ad una mansione operativa presso il Dipartimento di Psicologia dell'Università del Connecticut, dove lo IANDS era in procinto di iniziare la propria attività come organizzazione non-profit. Fu così che Nancy apprese dell'esistenza del termine NDE per indicare esperienze analoghe a quella da lei avuta circa vent'anni prima. Da allora, la Evans ha sempre lavorato per lo IANDS, del quale fu nominata dopo qualche tempo direttrice esecutiva. In questa veste incontrò molte persone che avevano avuto delle NDE, lesse tutte le pubblicazioni disponibili sull'argomento ed iniziò la propria attività di ricercatrice con uno studio sulle NDE dei bambini pubblicato nel 1983.

Quello che sorprese di più la Evans, tuttavia, fu il fatto che quasi tutte le NDE riportate nella letteratura si riferivano ad esperienze positive, luminose, piene di amore e di felicità: praticamente paradisiache. Se erano presenti elementi negativi, angoscianti o perfino infernali, questi erano limitati alle fasi iniziali dell'esperienza, che poi si trasformava più o meno rapidamente nella dimensione celestiale per la quale le NDE hanno riscosso tanto successo ed interesse presso il pubblico. Tuttavia lei sapeva, non solo per esperienza personale ma anche per la testimonianza di tante persone incontrate, che esisteva anche il rovescio della medaglia, rappresentato dalle NDE negative, angoscianti, o addirittura caratterizzate da un ambiente infernale. Com'è ovvio, si tratta di esperienze che hanno un appeal decisamente inferiore rispetto a quelle paradisiache, e per questo la reticenza a parlarne da parte dei soggetti coinvolti è molto maggiore. Inoltre fino agli anni '80 i ricercatori non dimostravano un particolare interesse verso le NDE angoscianti, che venivano relegate ad un ruolo marginale: l'interesse del pubblico era tutto per il paradiso, non certo per l'inferno!

Oggi il quadro è molto diverso, e bisogna riconoscere che le ricerche della Evans, culminate nella pubblicazione del suo libro nel 2012, hanno contribuito allo sviluppo del quadro conoscitivo delle NDE che caratterizza la ricerca attuale. Per chi fosse interessato all'argomento, si può citare un valido testo del 2009, The Handbook of Near-Death Experiences: Thirty Years of Investigation (al quale anche la Evans ha contribuito scrivendo il capitolo sulle Distressing NDE). Nel sito www.dancingpastthedark.com è presente una pagina nella quale Nancy chiarisce molti aspetti relativi alle NDE negative: in particolare la loro frequenza, che potrebbe essere fino al 20% di tutte le NDE, ed il fatto che il loro verificarsi risulti del tutto casuale rispetto a fattori, come l'età, il sesso, l'etica, lo stile di vita, la fede religiosa, la morte per suicidio, l'etnia, il benessere e le aspettative verso la vita nell'aldilà. Ecco dunque la testimonianza della Evans sulla propria NDE.

Sola alla deriva nello spazio

In una calda notte serena di fine luglio, in una città dello Stato di New York, iniziai ad avere le doglie per il parto della mia seconda figlia. Ero una donna di 28 anni in buona salute, e la gravidanza non aveva presentato problemi, tuttavia le doglie arrivarono tre settimane prima del previsto. Qualche ora prima l'ostetrica si era accorta che la nascitura si era prematuramente spostata in posizione prenatale nel canale del parto. Aveva pertanto ordinato una procedura d'urgenza, nel corso della quale io ero stata anestetizzata, secondo la prassi normale. Quello che ricordo è che restai sveglia, ritrovandomi in qualche modo a volare sopra un edificio. Potei dare una rapida occhiata alle mie spalle senza voltarmi, per quanto strano mi sembrasse, e scorsi delle strutture a forma di scatola sul tetto di quello che pensai fosse l'ospedale, dato che lì, sulla collina, vedevo anche la finestra dell'aula scolastica dove insegnavo. Potevo vedere la città che si allontanava rapidamente sotto di me, il profilo scuro delle colline lungo le rive del fiume, e la curvatura della Terra all'orizzonte («È vero, è proprio rotonda!» pensai). Poi, man mano che continuavo ad allontanarmi, il pianeta diventava sempre più piccolo, mentre io mi dirigevo... non so dove. Qualche anno dopo, quando il primo uomo era stato inviato nello spazio, avrei descritto questa scena come un astronauta fuori dalla capsula, alla deriva nello spazio.      

La velocità con cui andavo alla deriva era impressionante: mi sembrava di percorrere enormi distanze con un'angolazione diretta a nord-est, anche se non so dove possa essere il nord-est nello spazio. L'iniziale buio notturno della Terra si trasformava nello spazio in un'oscurità di tipo diverso: in un certo senso era più diluita, e sfumava inesplicabilmente verso quello che poteva sembrare un pallido chiarore all'orizzonte, anche se non c'era nessun orizzonte. Avevo l'impressione che Dio fosse lì, da qualche parte, anche se io mi sentivo completamente sola. Non c'era altro che quella strana oscurità crepuscolare, la mia consapevolezza di essere là, ed il vuoto. Mi ricordo che mi sembrava di avere una specie di forma, o quanto meno una presenza, ma non avevo il corpo. Era come se fossi fatta di velature prive di sostanza, però riuscivo a pensare. Mi chiedevo se avevo una mente, o piuttosto se ero io stessa la mente: una domanda alla quale non sapevo rispondere

I messaggeri sferici e l'inganno dell'esistenza

Una mezza dozzina di figure sferiche apparve in gruppo davanti a me, un po' sulla sinistra, venendomi incontro. Al loro interno erano metà nere e metà bianche, e nell'avanzare lampeggiavano ad intermittenza, dal nero al bianco e dal bianco al nero, come se inviassero un messaggio autorevole anche se privo di parole. In qualche modo il significato era chiaro: «Questo è tutto ciò che esiste, tutto quello che c'è mai stato. Questo è l'essere. Ogni altra cosa che tu ricordi è uno scherzo dell'immaginazione. Tu non sei reale, non sei mai stata reale. Non sei mai esistita, e non è mai esistita nemmeno la tua vita. Il mondo non è mai esistito realmente, è solo un gioco che ti è stato permesso di inventare. Non c'è stato mai niente né nessuno: lo scherzo consiste in questo, che tutto è stato solo uno scherzo!» Le sfere erano sgradevoli, ma non malvage: avevano un atteggiamento beffardo, meccanico, privo di sentimenti. Sembravano dei messaggeri, sicuri di ciò che comunicavano, dato che il messaggio non proveniva dalla loro autorità, ma era autorevole di per sé. Io replicai con passione che avevano torto, tirando fuori episodi dettagliati dell'infanzia di mia madre, della giovinezza di mio marito, ed anche fatti storici reali che non potevano essere riportati alla mia esperienza diretta. Le altre persone devono esistere: come potrei sapere tutte queste cose se qualcuno non me le avesse raccontate? E la mia bambina, la piccola Katy che mi aspetta a casa? Io la conoscevo bene, potevo sentire il contatto col suo solido corpicino o l'odore della sua rosea carnagione infantile. Come avrei mai potuto inventarla con l'immaginazione! E la nascita? Come potrebbe mai una donna (per quanto immaginaria) inventarsi qualcosa come dare alla luce un figlio? E la seconda figlia che mi doveva nascere? 

La sensazione del nulla

«Qualsiasi cosa tu ricordi fa parte dello scherzo – rispondevano beffardi – Tua madre, le tue figlie, non sono mai state reali. Questo è tutto quello che c'è e che è mai esistito. Soltanto questo». E Dio? La sottile oscurità si dilatò nel nulla, in una specie di foschia crepuscolare, mentre le sfere continuavano a lampeggiare. E poi fui completamente sola. Anche le sfere scomparvero dalla vista, e non rimase niente: il mondo reale se n'era andato, e con lui la mia bambina, la figlia che non sarebbe mai nata, e tutti gli altri bambini. Tutti coloro che io avevo conosciuto ed amato (ma come potrei averli conosciuti, se non fossero stati reali?) se ne erano andati, e con loro le colline e gli alberi. Non c'era più nessun mondo, nessuna casa, nessun bambino, e nemmeno nessun corpo nel quale potessi tornare. Penso che nessuno potrebbe sopportare un tormento così grande, poiché mi sembrava che non sarebbe mai finito e che non ci fosse alcuna via di uscita da quella condizione. Ogni persona, ogni cosa, perfino Dio, erano spariti, ed io ero sospesa per l'eternità in quel vuoto crepuscolo oscuro.   

Perché proprio io?

Poi mi ritrovai, ancora intontita, nel letto dell'ospedale. Il mio primo pensiero fu rivolto al terribile segreto di cui ero a conoscenza: «Calvino aveva ragione! Siamo predestinati. Ho fatto esperienza della predestinazione, e sono una delle anime perdute. Ecco cosa c'è là fuori, e cosa mi aspetta dopo la morte. C'è qualcosa di così sbagliato nel mio essere più profondo, che perfino Dio ha voluto che non esistessi». Ma per quale ragione? Figlia di un predicatore congregazionista, ero cresciuta in una ambiente che enfatizzava l'amore divino e la vita come servizio verso il prossimo piuttosto che il fuoco dell'inferno. Come credente, ero stata fondamentalmente rispettosa, anche se talvolta critica: avevo partecipato ai gruppi giovanili, cantato nel coro ed insegnato alla scuola domenicale. Inoltre mi ero impegnata nei convegni estivi della chiesa, organizzando dei seminari. Cosa mai avevo fatto di così terribile da meritare che Dio mi esiliasse in quel vuoto assoluto? La disperazione cresceva dentro di me come una marea.

Sconforto e disperazione

La bambina era nata cianotica – il colore della pelle era quello di una prugna matura – e non mi fu permesso di vederla. Ma era davvero reale? Era questa la ragione per cui non potevo vederla? Mi rinchiusi nel mio silenzio ed in un pianto vano. Nessuna parola di conforto riusciva ad aiutarmi. Mio marito, mia madre e le mie sorelle mi stavano vicino. Le infermiere mi trattavano con simpatia, assicurando tutti che la neonata sarebbe sopravvissuta. Ma tutte queste persone, la mia famiglia, le infermiere, la bambina che non potevo vedere, ed ogni cosa del mondo intorno a me, erano davvero reali? Stavo per annegare nello sconforto e nella disperazione, ma non potevo parlare con nessuno della mia esperienza

Il progressivo ritorno alla realtà della vita

Fui dimessa presto dall'ospedale a causa del mio stato di depressione, che i medici pensavano fosse dovuto alle condizioni della mia bambina. Passarono i giorni, e finalmente anche la mia figlioletta fu mandata a casa, così la potei abbracciare. Ora era come se a dover crescere fossero in due: la notte, quando le sentivo vagire, prima una, poi l'altra, mi domandavo: «Come può esserci tanta stanchezza in una persona che non esiste? È necessario che mi alzi? Se queste bambine non sono reali, c'è davvero bisogno di nutrirle?» Le settimane divennero mesi, e pian piano gli effetti della NDE cominciarono ad attenuarsi. La cicatrice era sempre presente ed inequivocabile, ma la questione di cosa potesse o non potesse essere la vita era stata rimossa, e tutto sembrava più semplice se evitavo di ripensare al messaggio. Reali o meno che fossero, le mie bambine venivano nutrite, cambiate ed accudite. Ma sotto il sottile strato delle difese emotive, la disperazione continuava a covare. Dio non mi voleva in alcun luogo, le sfere lampeggianti mi aspettavano, nulla era reale. Una volta tentai di raccontare la mia esperienza a mio marito, ma subito mi trattenni: non si può amare una persona e descriverle qualcosa di così terribile. Così, per due decenni, non ne avevo più parlato con nessuno.      

Yin e Yang

Trascorsero sei anni, ed un pomeriggio andai a far visita ad un vicino, docente universitario. Mentre andava in cucina a preparare il the, l'amico mi indicò un libro su un tavolino: «È L'uomo e i suoi simboli di Jung. Mi è appena arrivato: dagli un'occhiata». Era un libro di grande formato, ricco di illustrazioni, più o meno sul tema dell'immaginario umano, e cominciai a sfogliarlo con interesse, finché, nel voltare una pagina, non restai impietrita: una delle sfere bianche e nere mi fissava di nuovo! Allora erano vere, qualcun altro sapeva della loro esistenza! Il respiro mi si bloccò e, in preda al terrore, scagliai il libro lontano da me e scappai via da quella casa, troppo spaventata per prendermi la briga di salutare il mio ospite (il quale venticinque anni più tardi mi disse ridendo: «Sì, mi sembrò un po' strana quella tua improvvisa scomparsa»).      

L'immagine dalla quale ero fuggita, il cerchio il cui messaggio avevo rimosso per anni, e che per me era così alieno e terrificante, non aveva niente di drammatico al di fuori dell'ambito della mia esperienza. Io non ne conoscevo il significato. Solo dopo diversi anni appresi che si trattava dell'antico simbolo cinese dello yin e yang, che racchiudeva il principio degli opposti interdipendenti che caratterizzano ogni esperienza umana, l'equilibrio del sì e del no, del maschile e del femminile, del buio e della luce, dell'attivo e del passivo, della vita e della morte, che si muovono in un costante flusso di interazioni. Questa coesistenza degli opposti implica l'accettazione dell'ambiguità e del paradosso, la comprensione che la realtà è molto meno di ciò che noi pensiamo che sia, ed allo stesso tempo molto di più. Com'è noto, il simbolo è formato da due metà che si affiancano a spirale, una bianca ed una nera, ciascuna contenente al suo interno un dischetto del colore dell'altra. Nella mia NDE, le due metà bianche e nere si alternavano ad intermittenza. Come mai, nella mia angosciante esperienza, avevo utilizzato quale messaggero un antico simbolo cinese del quale io, moderna protestante del New England, non conoscevo nemmeno l'esistenza?   

Il bisogno di capire

Il racconto della Evans prosegue, spiegando come da quell'esperienza e dai suoi effetti sia nato poi il suo interesse per le NDE, ed in particolare per quelle angoscianti, ed il bisogno di capire quale sia il significato di queste esperienze per chi le vive. Il suo libro è senz'altro interessante e vale la pena di leggerlo. Per quanto riguarda la sua NDE e le devastanti conseguenze che ebbe per alcuni anni della sua vita, può darsi che sia accaduto che lei si immerse (o meglio, si trovò immersa suo malgrado) in un problema cruciale per la conoscenza umana, senza avere gli strumenti per ruscire a tirarsene fuori rapidamente ed agevolmente. Il problema della realtà infatti è noto in filosofia da molto tempo, ed è chiaro che la nostra conoscenza di ciò che è reale dipende da due fattori essenziali: il primo è lo strumento della percezione, dell'interpretazione e della conoscenza, cioè la nostra mente (con tutti i programmi acquisiti o elaborati), che determina la realtà soggettiva, mentre il secondo è la presenza di un'altra persona o di un gruppo di altre persone col quale scambiare informazioni, per determinare il consenso necessario a stabilire cosa possa essere considerato come realtà oggettiva. Nell'ambito della sua esperienza – tipicamente soggettiva – l'io cosciente della Evans probabilmente intercettò un nucleo della psiche che fino ad allora era rimasto inconscio, e, non avendo difese, ne fu travolto. Quanto al simbolo dello yin e yang utilizzato per rappresentare le sfere messaggere, non è escluso che, pur non ricordandolo coscientemente, ne avesse acquisito qualche informazione nel corso della sua vita, prima di avere la NDE.


 

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