Gocce di rugiada (Dew Drops): part one

 

 


Il mattin raggiante era tant'era distinto 'l chiaro dall'ombra. La natura era in risvolto; lo dicean le piante e li animali e quel rubin liquido che nell'uomo scorre.  L'astro d'oro dava luce e vita e di ciò compiaceasi, di tal risveglio ch'era terreno. In fondo a una valletta eravi un boschetto intornato da pini di alti fusti che davano a quello luogo qualcosa che di sacro si potesse dire; alla destra di chi entrar vi potesse scorreva un ruscello salterello che nello suo fondo lasciava veder le sue gemme ch'eran pietruzze bianche, nere e rosse poco. Più in avanti dava in svolto rabbio, e entrava perdendosi per chi di fori stesse. Nello verde boschetto macchiole, bornielli, carnie e felci, e qualche quercia potea scorgersi più nel dentro; vitalbe e lucchi s'intrecciaan fra loro, or salendo, or facendo pendaglio dalli fusti.

Fiori v'eran di tutti i colori: i gialli, i flora, i bianchi, i rossi, sì ch'a mirarli tutti con lo luogo davan impression d'esser nel sogno. L'uccelli svolazzaan fra ramo e fronda beccando ora una bacca e or macchiandosi di necessitario delitto per una farfalletta bianca o rosa. Ogni tanto, portate di gentil venticello facean giungere odori di terra viva e di erbe nuove, che davano allo animo di chi le respirasse, leggerezza di contento. Parea che quello luogo isolato fosse dall'altre cose ch'àn favella e che son mute. Ma movendo li occhi 'ntorno si potea vedere che altre cose le faceano corona; erano colli che differivan tra loro: i più bassi davan visione alli più alti; questi, ne celavano altri e si baciavan col cielo.

Su uno dei più alti, e distante almen due miglia dal boschetto, eranvi una bella castella che in quattro torre finiva, avendo quella a maestra ben più alto spalto alle altre, e ben si vedea ch'era di gran famigli. Più vicinante ancora, e sparso là e qua v'era qualche abituro di poveri ignoranti che molto sapeano delle semine e poco apprezzati eran dall’abbienti. Alla maestra della castella vi dava in prencipio una stradetta che, dando a poco sotto in svolto rabbio, le passava in sul davanti andando a smarrirsi al dietro d'altri colli. Volgendo 'l dietro a questa, veder si potea ch'altra stradetta avea posto nello spaccato di due colli ch'erano non alti, e a finire andava a quel boschetto; là e qua v'eran macchiole e querce come a fiorir lo suolo. In questa stradetta fu che alzaronsi al cielo nuvole di polvere ch'eran volute da quattro forte gambe ch'avea un focoso cavallo forzato a tutta corsa.

Chi era quel cavaliere che sì tanta fretta avea? Nella corsa, cavallo e cavaliere nascosti furon da macchiole e querce; poi riapparvero facendo udir distinto 'l batter degli zocchi, e fatta ancora qualche lunghezza, fermossi al principiar del boschetto. Discese con balzo agile e sicuro, e legato ch'ebbe a dei bornielli 'l su' cavallo, fecesi scuro con le mani sulli occhi e misesi a osservare per la direzione del maniero. Era questi di capelli neri e anellosi, avendo l' volto bello e maschio assai; l'occhio aperto ed espressivo, e giusto di statura; 'l tutto avea che dir bello si potesse. La sua veste semplice ed elegante che apparir lo facea di buon famigli.

A lungo osservò, e quando vide nuvole di polvere alzarsi da sotto la castella, fece sospiro come a levarsi peso e pensierò fra sé: forse è quello. Veder si potea bene che un altro cavaliere avvicinavasi verso quello luogo, lasciò la stradetta e buttossi a gran carriera per la terra delle semine facendo scorcioia per pria arrivare. Or che s'avvicinava faceasi più vistoso; saltò un borrello e s'infilò nello mezzo del ruscello facendo schizzare alle parte sbruffi di quell'acqua che, poi ricadendo, perdeasi nell'altra che già torbida venìa e, battendo sul sito del su' cavallo laonde non facesse addivenire più corte le sue lunghezze, uscì dal ruscello, e dando strappo alle guide, pian piano al passo si mise.

S'addentrò fra que' pini guardando a manca e a maestra come di chi qualcuno cerca. Anche l'altro cavaliere qualcuno cercava, e appena vedutisi, salutaronsi entrambi: «Che 'l dì vi sia buono, o messere» favellò discendendo e menandosi addietro 'l su' cavallo.
«Che Dio ve ne renda in grazie, messere» favellò in risposta l'altro.
Era il nuovo arrivato di statura più piccola all'altro, avendo capelli folti e di color nerastri; le sopraciglie spesse e li occhi non grandi; 'l volto duro e bronzato, con una cicatrice che, partendogli dall'orecchio mancino, le andava a finire fin sotto la gola; la bocca sottile e senza tanta mostra delle labbra, era uomo che dimostrava forza e coraggio al primo vederlo. Avea il giustacuore di pelle e l'altra sua veste era di zibardino assai ito nel su' colore, e favellò: «Siete voi, messer Brando dei Branducci?»
«In vostra presenza, messere» rispose movendo 'l capo.
«Siete solo, messere?» ridomandò.
«No».
«E chi altro c'è?» chiese facendo pieghe in sulla fronte.
«Il mio cavallo, messere» rispose Brando.
L'altro, in sorriso dette e continuò: «Bene, io sono Beccario degli... degli... perdonatemi, messere, ma non arricordami mai di qual casata io sia, e dir vi posso che difendo a tutto fondo la casata delli Ardinghelli di San Gimignano».
Messer Brando nel sentir pronunciar quella orrevol casata fece inchino addimostrando certo rispetto e disse: «Dio le dia salute, o messere, ma io ancor non veggo aperta certa mia curiosità».
«Ed io aprirovvi mia favella, messere – le rispose Beccario. – Voi, s'io non guasto, figlio siete di messer Niccolò Branducci che ben si mostrò nella presa di Rocca d'Olivo e, se ancor non guasto, fu da quel tempo che i Branducci ebbero tutta loro quella castella e, se ancor non riguasto, i Branducci molto devon quelle forti mura alla nobil casata delli Ardinghelli che ne comandaron la presa» e sì dicendo facea sorriso come uno che assa' lunga la sappia.
«Ma questo io ben lo conosco, messere; 'l padre mio mai mancò nel darmene pensiero e di quel che voi dite io avealo già in dottrina fin da fanciullo». Poi addimostrando pensiero, il disse: «Ma ciò che c'entra, messere?».
«Ecco, messere, ch'i' vengo al buono». Alzò 'l volto, e con favellar ben fatto, disse: «Sapete che tre sono i fratelli Ardinghelli? E 'l più maturo di loro, presa donna, ha avuto a ben su' tempo una nascitura ch'oggi è sì leggiadrissima fanciulla piena di virtude degna di nobil madonna».

Messer Brando faceasi molto in orecchio a quel favellar, e già sullo su' volto vedeasi che curiosità cresceva.
«Questa già da su' tempo destinata era a divenir la moglie di messer Antonello dei Becci, e già doveanese fermare ‘l dì degli sponsali; ma avendo veduta questa il nipote dell’altissimo vescovo di Volterra, tanto fece e tanto 'l disse che dimandolla in sposa all'Ardinghelli; ma questi fecelo sapevole che ad altro era promessa. Allora precipitossi a carrier di vento a Volterra, supplicando 'l vescovo su' zio che simil contento gli procurasse. Questi avutolo in debole mandò un messo che il dicesse all'Ardinghelli che il non accontentar suo nipote sarebbe stato resìa contro Dio e offesa a lui; e, a matrimonio fatto, promisegli aiuti contro i Salvucci e diverse terre molto ben viste. Ed ecco, messere, perché un avvisator venne a voi tre dì fa a darvi avviso per trovarvi allo mattin del terzo dì di poi in questo luogo per certi affari che vi riguardavan».
Messer Brando fecesi ancor più attento dicendo: «Perdonate, messere, se ancor io non capisco cert'affar che mi riguarda; siate breve nel favellar ond'io in curiosità non cada, dite che c'entro io in tutto questo? E che vuolsi da mia parte?».
«Siete un cavaliere di coraggio pieno e molto avventuroso; 'l tutto avete, e messer Ardinghelli vi dà onore nel recar contento a lui». Poi fece piano a favellar e girossi 'n torno come avesse temor d'esser sentito: «Voi, messere, siete abil nel maneggiar lo stocco, e voi ben troverete molta occasione dopo dimani nella giostra che si fa su a San Gimignano, nello sfidar messer Antonello Becci».

Messer Brando scossesi a sentir dir questo, e favellò: «Ma, messere, sembrami che molto esciate al fuori. Come posso io sfidare un uomo che nulla fecemi? Ed ancor più sfidarlo in amichevol giostrare?».
L'altro ancora dette in sorriso e continuò: «Calma, messere; ancor non ho favellato, e sembrami avervi dato intesa che questo lo comanda e lo vuole messer Ardinghelli che con suo gran piacere volle alzarvi a buon famigli».
«Messere, ma mio padre molti spezial servigi rese a sì orrevol messere, e credo che questo alzarci a buon famigli siaselo ben meritato».
«Sentite, messere, – disse Beccario con favellar risentito – così vuolsi da quella casata. Voi sarete avversario di detto messere e nel giostrare cercherete di dar provocazione male agendo, sì ch'esso abbiavi a sfidare in sul vero, e dir vi posso che gli Ardinghelli ben sanno che 'l vostro braccio val dieci dei suoi». Poi continuò con favellar di chi comanda: «Dimostratevi degno di vostro signore e ben sarete assistito, e vi faccio partecipe che anco 'l vescovo di Volterra è in sapevolezza di ciò che accader dee, e molto daravvi cose da piacere per simil servigio».

Brando in sé cercò pensierare a ciò che in favella puotesse dire a quello che di tutto ciò che si volea non stevagli tanto 'n piacevolezza, e il pensare che li Ardinghelli e 'l vescovo lo voleano, molto facealo imbarazzato; e forse l'era più che giusto in lui, essendo la primiera volta che le venìa chiesto simil servizio, e con pieghe in sulla fronte chiese: «Messere, sembrami che molto sarà costoso per me quel che chiedemisi; non potreste voi cercare altro messere che molto vive 'n questo?».
Ma l'altro in favella pien di comando il rispose: «Li Ardinghelli  che molto fecero per voi Branducci, vi danno privilegio a servirli, e vi ordinano a tutto fare di quel ch'io dissi; e se piacere avete di rimirar la stella non fate sapevol niuno di come e perché vuolsi questo». E facendo forza al mettipiede risalì a cavallo ancor dicendo: «Messere, felicità alli Ardinghelli e al vostro amichevol giostrare; ci rivedremo lassù». E 'n sorriso che non era d'uomo s'allontanò mettendosi 'n corsa.

Chi puotuto veder avesse Brando, sarebbesi accorto che molti dovean'essere li suoi pensieri. «Ma ancora 'l mi' braccio non ha fatto questo – pensierò – ed io correrò a darne novella al padre mio che molto saggio è 'n tutto». E avvicinato che si fu al su' cavallo, continuò: «Vieni, Vento, e cerca di metter le alie alli piedi, perch'io più non istò in me». Salì 'n groppa, e dandole voce ricontò li suoi passi; questi, capito, diede in gran correre, e fatto ch'ebbe alcune miglia addimostrò contento dando nitrito, avendo questi, o per istinto animalesco, o per veduta delli occhi, capito che Rocca d'Olivo era là davante.

Era questa una castella ben murosa, ed una era la torre di non alto spalto che dea certo aspetto assa' maschioso all'altre mura che differiala dalle altre; era la sola che dominio avesse sulla Semifonte ormai distrutta; e da quell' di prima dicesi che quivi abbarbato avesse una forte pianta dal nome olivo ove fu a ben su' tempo uccisa madonna Gilda di Pier d'Agnolo, per ordine stesso di su' padre, che truovolla in buon contento con messer Lorenzo Aringhieri su' acerrimo nemico che molto l'avea avuto 'n contrasto nella battaglia di Castelvecchio. Di poi venuto a ita maturità, preselo rimorso di ciò che fatto avea, e fu allor che fece aggiacer l'olivo e fecevi costruire una castella per abitarvi l'ultimi tempi suoi, chiedendo misericordia allo Dio di tutto 'l male fatto. Alla di lui avvenuta morte, questa abitata venne da messer Poldo d'Agnolo di Bedendo figlio e cugino di Piero; ed essendo Poldo d'idea ghibellinosa e amicoso de' Salvucci, li Ardinghelli, sia perché eran rosicchi dal rancore, sia per dar prune all'altri famigli, fecero assaltare quella castella da un lor fido comandante d'arme, certo Niccolò Branducci, che presela di soppresa e di notte tempo. Cedette subito, e Poldo di Bedendo ucciso venne nella zuffa. Per la gioia della vittoria li Ardinghelli fecero nomina a buon famigli i Branducci e regalarongli quella con qualche terra.

Brando sceso che fu dal su' cavallo raccomandollo a un de' suoi perché premura e governo il desse, e serio 'n volto entrò nel cortilone ove diversi armigeri facean spezial lezione nel maneggiar ficconi. Questi vedutolo le dettero saluto; Brando accennò di capo, e a doppio a doppio, fece li scaletti che menavan di sopra. Vedeasi bene che l'ordine stea in per tutto, il che l'era più che giusto, essendo i suoi signori bene avvezzati che anche le cose le fossino eguali. Brando, finito ch'ebbe li scaletti trovossi in una grande stanza che dea più in lungo che in largo; da una parte eranvi grosse scranne e uno scrannotto, e dall'altra aprivasi delle aperture ch'eran usci che immettevan nell'altre stanze. Fu davanti a un di quelle che fermossi favellando a due armigeri con stocco all'anna, ch'eran posti là come guardiani.
«È di là 'l padre mio?».
«Messere, sì» disse in risposta uno di quelli facendo saluto.
«Dagli annunzio ch'io son qui pien di favella necessaria a udirsi».
Questi sparì a dietro l'apertura, e riapparendo, fecegli cenno d'entrare. Brando, toltosi 'l copricapo, entrò in una stanza bene messa e di gusto piena, ove in una scranna seduto stava messer Niccolò Branducci, padre suo.

Era 'l su' padre già andato nelli anni che a giusto giudicare davaglinese una settantina; avea 'l crine bianco e ben tenuto, li occhi eran pieni di vita ed infossati; in fronte avea qualche piega che davagli aspetto di pensieroso; le labbra eran ancor rossate e finivan in taglio giusto per dar forma alla bocca, ed avea al finir di essa, tanto da una parte e tanto dall'altra, due piccol pieghe che davano al su' volto non tanto asciutto, cert'aspetto autoritario. Le mani non eran fini, pensando ch'esso erasi ammestierito soltanto nel maneggiare l'armi per su' diletto e per difesa altrui. Vestiva una cappa color del prato, dove, al finir di essa in basso, faceano buon'apparenza i suoi calzari ch'erano ammiranti essendo di mussino fino e di color florato. Alla su’ maestra v’era un deschetto che tenea diverse carte che con gran cura esso l'andaa arrotolando. Le finestre davan giorno in due e una era chiusa e l'altra avea le batende discostate. In volto a lui e in fondo appoggiato alla parete eranvi un mettiroba d'armi pieno; diversi eran l'elmi, diversi eran li stocchi e diverse, come fatture, eran le cotte; e alla parte da dove entrata avea fatto Brando, vi facean bella presenza qualità diverse di picche, di ficconi e mazze, ed altre cose che a flagellar persone serviano che intender non voleano con le buone, e per far sì che di fronte alle ragioni le forze valessero.

All'apparenza di Brando 'l vecchio fece buon viso e pregollo che a segger si mettesse. Questi levossi lo stocco dall’anna e messolo su una scranna fecesi a su' padre: «Buon dì, padre mio, e prego che questo siavi di contentezze pieno».
«Grazie, Brando»; poi ch'ebbe scrutatolo, dissegli: «Ma sembrami che tu sia 'n soffrire; e dov'eri stamane che ti ho fatto chiamare e mi si è detto che 'l tu' covuccio l'avea perduto 'l su' dormiente?».
Brando erasi seduto, e guardando 'l su' vecchio come a cercarvi riposo, il rispose: «Padre mio, perdonatemi se feci manchevolezza nel non aver dato avviso, ma eramisi molto comandato di tener segreto, e io il giurai sul vostro capo».
Messer Niccolò aprì in più li occhi e disse: «E neppur voglio saper di certo tuo segreto che comprendo sia un di quelli amorosi, ed i' son tu' padre, e li padri molto indovinan sulli segreti delli figli; ma eppur ti dico che sembrami che qualche cosa fuor di questo ti fa brutto assai» e sì dicendo sorridea. «Brando mio, hai già fatto manchevolezza ver' di me; non ricordi?».
«Quale, padre?» risposegli con favellar d'attesa.
«Quella di non avermi dato 'l bacio, Brando mio» e sì dicendo gli aprì le bracce e si strinsero l'un l'altro mentre Brando lo baciaa in sulla guancia.
«Perdonatemi, padre, s'io ancor non lo aveo fatto, ma io stamani fui molto mattiniero e voi riposavi sempre, così che lo svegliarvi sembravami cosa che vi disturbasse ‘l sonno».
Poi, rimessosi sulla scranna favellò: «Padre ho cose brutte da dirvi».
'l vecchio fecesi in attento dicendo: «Favella, figlio, ch'io ho buon orecchie».
«Li Ardinghelli che voi ben avete serviti hanno certo bisogno della mia mano».
Messer Niccolò piego le ciglia in sulli occhi dicendo: «Fammi sapevol, Brando, ch'io son bene avvezzo; che vuolsi da tu?». E alzato che si fu chiuse le bandelle dell'altra finestra. 'l su' passo sempre era deciso e ben forte e molto abituato come d'uomo che ben siasi tenuto in esercizio; fermossi in mezzo alla stanza e con buona favella il disse: «Favella, figlio, che vuolsi da tu?».
«Vuolsi che la mia mano faccia cessar l'esistere d'un altro che nulla fecemi, padre». E ben favellando il tutto dissegli.

Messer Niccolò quando il tutto ebbe udito parve andare in sulle furie, e dopo alcuni passi fatti verso 'l figlio, disse come favellando ad altro: «Ah! sì? E non bastati che 'l mi' braccio e la mia valentia abbiati assa' difeso?! Non bastati 'l sangue che versai con le mi' ferite durante 'l tuo voluto battagliare? E sapendo che 'l mi' braccio orma' ito nell'anni non è più 'n sicuro come pria, tu fai truovare 'l figlio mio, ben sapendo che l'avvezzai bene e cerchi di farne tuo servo». E 'l su' favellar diventava alto. «No, e ancora no!... e tu, Brando, questo non farai, io te lo comando. Messer Ardinghelli, ora basta! Io ti fu in servizio assai e 'l tutto lo guadagnai col mi sangue!».
Brando l'ascoltaa, ma veduto ch'esso troppo iva in collera, cercò fermarlo. «Padre, io vi faccio preghiera, a ciò che voi udendola andiate 'n calma; seggetevi, padre mio, e datemi consiglio ond’io attenzion vi presti».

Questi seggé, ma le sue mani sulli spaletti avean tremore; passossi la mano maestra sulla fronte ch'era umidosa, e mirando Brando favellò, ma sentir si poteva ch'era cambiato: «Branduccio mio, dammi promessa di ciò che dissi, e molto darammi contento». Poi girò li occhi, e fisso guardando come ad altro continuò: «Vi siete già dati 'n stanco vèr' me, eh?! Brando mio, ecco già quel ch'io pensaa: li Ardinghelli in male peste voglion buttarti; ti ordinano di fare cosa che male accetta sia dall'altro, lui chiedeti ragione, c'è la zuffa, e tu, che bene avvezzato sei, te la cavi; l'altro muore, e li Ardinghelli sono 'n gioia avendo non contrasto col vescovo che le cede certe terre, e 'l nipote si fa sposa madonna Grazia. Tutto pare vada 'n maestrìa, e quelli a nulla fanno faccia; ma i famigli di Antonello che avranno 'n pensiero di tal fatta? Molto lo amano, e saputo che tu l'hai ucciso bruceran di collera scagliandosi a Rocca d'Olivo; tutto distruggeranno, e se noi cadessimo vivi in loro, pensa quale morte orrenda ci darebbero! E non isperar aiuti dalli Ardinghelli che ben ti lascerebbero nelle peste. A quelli nulla importa della casata dei Branducci, e tanto meno di Rocca d'Olivo. La casata dei Becci è potente e di buon occhio vede i Salvucci che si farebbero innanzi per aiutarli, e, pensierar di resistere a quelli, è cosa guasta».
«Pensierate, padre – dissegli Brando – Le mie orecchie in nulla fuggiron le vostre parole».
«Ecco Brando, sai tu che quando in zuffa siamo, ognuno alla pelle tiene, e uccider si puote, ma per amor di noi; e s'io son vero, pensa quanti ne avrò spacciati durante 'l battagliar di mia vita voluto dalli Ardinghelli, che al più leggier cozzar di stocchi si chiudon le bandelle per starvi in dietro, mentre li altri si scannano per loro. Ma giurar ti posso che mai uccisi uomo che nulla fecemi; tal crostume sull'anima mia non si vede. E tu, figlio mio, ti difenderai quando uccider ti volessino, ma non uccider uom che non ti guarda».

'l vecchio si alzò e cammino fece verso 'l mettiroba; poi, voltato 'l dietro a quello, favellò: «Brando, tu partirai in buona notte solo o, se vuoi, Testa può tenerti compagnia; vi porterete a San Gimignano e batterete bene alla porta della castella dei Becci; e questa schiusasi dirai che si tratta di vita o di morte, a ciò che quelli ascolto ti diano e 'n presenza a' Becci vi portino, al che tu dirai, ben guardando alle parole, di ciò che trattasi. E allor vedrai l'ira vampar da quelli verso li Ardinghelli e 'l vescovo».
«Ma, padre! – esclamò Brando – Ma cosa dite?!». E 'l su' volto pieno era d'attesa.
Ma l'altro di sùbito: «Taci, Brando; forse è Dio che vuole questo».
«E non saremo noi sempre nelle peste, tanto quel facendo e tanto l'altro dicendo? E li Ardinghelli, padre, qual'ira piglieranno vèr' noi, venuti in sapevolezza di ciò?».
«Non temo più la loro ira». E sorridendo assa' forzato, favellò piano: «I Becci, i Salvucci e qualche braccio dei Branducci faran fronte a quelli e al vescovo di Volterra».
«Padre, ma facendo questo noi entreremo 'n battagliare!».
«È quel ch' i' voglio, Brando» rispose 'l vecchio con favellar come risentito. «Ascolta: dalla volta che li Ardinghelli stesero mano al vescovo, io preseli 'n malocchio e mi rosicai 'l dito».
«Ma, padre, dicesi ch'esso lo Dio prega e scomunicar puote chi sia».
'l vecchio sorrise e favellò: «Ascolta, figlio mio: che dicesi che quello preghi li altri a servirlo, molto ci credo, ma preghi lo Dio, non va in tornare a me. Dio, se c'è, non accetterà mai le sue che di sangue sanno; e in quanto allo suo scomunicare, nulla credovi; è uomo esso come io lo sono, e, com'io m'ammestierii nel battagliare, quello s'ammestierì nel far la croce, e credimi che nulla puote che mutar faccia». E fattosi più vicinante Brando lo battea in sulla spalla seguitando 'l dire: «Va', Brando, nelle peste siamo, ma no in tutto. La notte che va veniéndo è tua e la mia vita vale».
Brando, ciò udendo, si scosse in sé e disse: «Padre, io darei la mia per la vostra».
«Son sapevole dello core tuo e molto ti ammiro, Brando; e sì tanto ti amo che appressato ne morrei sapendoti in male affare. Va', Brando, e 'l tutto facendo di ciò ch'io diediti 'n dottrina darammi assa' contento e tempi 'n più di vita mia».

E apertole le braccia com'era d'uso suo, strinsesi a sé 'l su' caro che lo baciaa in sulla spalla. Quello stringersi fra loro durò ancora, e veder si potea benissimo ch'era l'amor che avere puote un vero padre verso 'l figlio che con amor ricambia.
'l vecchio continuò: «Va', Branduccio, e se questo Dio c'è, pregolo che giorno dia al cammino tuo e che ti sostenga 'n sempre». E sì dicendo altra favella avea e li occhi d'umidore pieni.
Brando accorsesene e di sùbito disse: «Padre mio, giurar vi posso sulla madonna madre mia, che mai ebbimi sì gioia come li altri che provan nel conoscerla, che 'l vostro dire buon dottrina sarà per me, sì che farmela dilare sarà come voler spegnere la stella della vita, e questa notte sarà mia, come vo' diceste; partirò con Testa che molto mi comprende».
E andato che fu alla finestra aprì le bandelle, e a robusta voce diede di chiamo nomando quello, e un armigero che in sotto stava rispose: «Messere, quel che voi chiamate, risposta non daravvi, è uscito al fuori per far buon santo 'l nuovo barbero, ma se voi lo volete le corro 'n dietro».
«Bravo, Chiappo, montane un altro e fa ciò che diceste». Quello svelto fu a capire, e montato 'l suo con gran trametìo uscì dal cortilone, e quel che Brando avea nomato ben presto a sua presenza fu.

Era questo uno giovine ch'addimostraa più tempi di che ne avesse Brando, ma saper si potea che 'l solito giorno l'avea visti nascer, e che ancor essendo piccolo l'avea perduti li suoi che se ne andarono al mondo de' santi per la morìa; ed essendo 'l figlioccio di un molto amico di messer Niccolò, questi s'eraselo preso in affezione e molto più per dare allo figlio suo un compagno di giuoco, dato ch'esso stavanese assa' assente pel su' mestiero. I piccoli s'eran poi formati in giovani di forza e di maestria pieni pronti a dar la vita per lo viver dell'altro, e molto si amaano, come amor possano aver due fratelli. 'l su' nome era Baldino, ma avendo questo la fronte anziché piccola più a grande del giusto misurare, messer Niccolò chiamavaselo in sempre col nomar di Testa; e Testa rimasto era. Di statura più bassa di Brando, ma ben forte 'n tutta la su' persona, avea 'l crine non tanto scuroso, 'l naso forse guidante un poco a maestra, sì che allo occhio non dava, e li occhi eran giusti e di luce pieni, e la bocca non tanto mal fatta. Giunto che fu in presenza ai Branducci salutò dando 'n sorriso, ma veduti che quelli eran seri, serio pur lui divenne.
«Caro Testa – disse Brando – stiamo per battagliare».
«La mia vita è vostra, messeri» rispose quello con favellar ben chiaro; e udito ch'ebbe di ciò che trattaasi, esclamò: «È brutto questo, ma il volere di voi farà 'l potere. Vi giuro che fellon non sono; che la notte venga ed i’ divento 'l diavolo».
«Va – dissegli Brando – e fa' ben satolli i destrieri sì che l'alie a' piedi abbino a spuntare». Poi chiamato Chiappo ch'avea li occhi bianchi e 'l volto pien di dure lezioni sì ch'apparia in grinze come i vecchi, e di statura era giusto e poco crine al capo: «Ascolta 'l padre mio che daratti buon dottrina da portare a fondo».
E quando da messer Niccolò ebbe apprese cose d'attenzione piene, uscì da quella stanza come dannato vociando e chiamando nomi, e di lì a poco Chiappo ed altri usciron da Rocca d'Olivo con gran trametìo che fanno i cavalli sul pietrato.

E in quella notte di stelle piena due cavalieri si lasciarono al dietro quella castella, prendendo per la direzione di San Gimignano, e prendendo per scorcioie a loro note, ben presto si truovarono sotto quello.
«Messere» favellò Testa portandosi al pari suo, essendo per tutti li altri passi rimasto al dietro.
«Favella, Testa, ma non in forte» rispose Brando.
«Ecco messere, io or, che appresso siamo, domandomi se dovremo aspettar di aver spuntate le alie».
«Perché questo dici?».
«Perché le portone chiuse sono, messere» rispose Testa.
«Di questo, in sapevolezza ero, Testa, e non aspetterem neppure di aver le alie; vieni meco e 'n dubbi non cadere, che male fanno; Chiappo e li altri san come recitare 'l pater. A un certo modo mio di far suono ben vedrai che la portona che dà nel dietro, pietosa si farà appriendosi quel poco che a due basta».
«Messere mio, molto vi ammiro quando certa buggerata vi mettete» disse Testa sorridendo.
«Vieni meco» disse l'altro. E girato ch'ebbero a sotto 'l nuovo muro si truovarono alla portona che al retro deva e fattosi vicino a quella, Brando diede certo suono suo ed ancor lo ripeté, e pintando con le robuste mani quella, ben s’accorse che cedea sino a quel tanto che bastasse al su’ passaggio e a quello dell’altro.

«Salute, messere» disse una favella dando ‘n sommessa.
«Chi sei tu? – chiese Brando scendendo a terra – E dove diavol sei ficcato che li miei occhi non ti scernon?».
« Messere – arrisposegli quello – i’ sono 'l Bello».
«Or ti conosco, vecchio mio, e molto godo che tutto sia ito in maestria. Di’, dov’è Chiappo?».
«È alla Taverna della Stesa, messere».
«Bene così; egli fece cosa 'l padre mio dissegli. Scendi Testa, e tu Bello, presta attenzione alli cavalli».
'l tutto era ito come avea voluto messer Niccolò. Chiappo erasi partito con altri sei mentre che ancor la stella era su nello cielo, e arrivò a San Gimignano pria che le porte si chiudessero.

«Gnamo alla Taverna – disse alli altri – che pria di esser foco voglio arrossarmi; bagliocca farem con li amici di quassù sì da metterli terriola nelli occhi; poi viene 'l buio pesto mancando quella che dallo ciel fa lume a notte, e tu, Bello, e tu, Ronchio, assieme a Gaggione, al fuora vi farete e per 'l volere di messer Niccolò farete usando certo modo che la porta del dreto venga aperta. San Gimignano non è in battagliare e tiene soltanto due armigeri per porta; vi avvicinerete facendo finta d'altro e li scannerete per aver sicuro, e lì attenderete l'arrivo dei nostri». E girati li suoi occhi bianchi sulli compagni, favellò ancor dicendo: «Capito 'l tutto di ciò che dissi?».
«Sì, Chiappo» risposero, chi col favellar, chi piegando 'l capo.
«Bene, agnamo dunque che acciacco dalla sete».
E legati alli anelli i cavalli, nella taverna entrarono, salutando alla voce tutti li altri. E siccome vi truovarono molti fidi delli Ardinghelli, furon molto salutati da quelli che li sapeano dei Branducci.
«La cosa la va come la dèe» disse Chiappo a Grattagatti.
Uno di quelli, disse: «Qual nuova, Chiappo, ti porta all'aria fina?».
«È per il mio signore, caro Nòttolo; e siccome devo andare a Volterra, e non essendo la cosa pien di premura, feci pensiero con li miei di ber di quello bono con li amici di quassù».
«Ben faceste, – rispose Nòttolo dando chiamo all'oste; – porta di quello fino; per li amici delli Ardinghelli ci de' esse».

Si seggettero su' panconi in mentre che l'oste portaa i boccali, e Chiappo presone uno dettegli di fiuto e di biasciuglio e da buono intenditore rizzossi e disse: «Questo è acqua, mirate compagni» e sì favellando dettelo di stiaffo in sulla faccia a quello. «Oste dannato, daccene di quello che dicesi di Montepulciano o del Chianone, e allor veder ti faccio che stiaffomelo drento alla buzza un doppietto di boccali».
Li altri in risate sganasciarie dettero, e uno 'l disse: «Bravo Chiappo! e pagotene altri se tu 'l farai vedere bere quelli in mentre che lo Zoppo ti prulletica le piante».
Quel che chiamaasi Chiappo s'alzò dal pancone e fattosi vicino a quello, dissegli: «Senti 'l mi' Grattagatti che le porta dall'inferno» e dandogli la mano in sulla spalla continuò: «Vorresti dar spettacolo?». E vòltosi alli altri: «Oilà, compagni, io, che fellon non sono, accetto quel che Grattagatti disse, ma facciovi sapevoli che stiaffao quello qua nella buzza vogliomi per premio un boccalone di gineprino».
Li altri dettero in consenso, e uno disse: «Chiappo ha più di ragione, e se quello 'l farà, l'altro arà».

Tutti si alzaron circondo facendo in mentre che Chiappo si togliea li calzari e lo Zoppo si facea appresso tenendo 'n mano due di quelle penne che all'alie stanno alle galline, e che l'oste ancor tremante per la scen  d'avante gl'avea procurate. Chiappo, messo che si fu a segger, mise li piedi nudi in sopra all'altro pancone, e perché questi non puotesseli dimenare, un di quelli fecegli nodo con un cordaccio. L'oste, ritorno era con li boccali, e lo Zoppo misesi con le ginocchie basse, e con spezial maestria dette di tocco in mentre che li altri si reggeano la pancia per temore che dovessegli stiantare dalle risate. Chiappo, preso 'l boccale, tentò farlo vuoto di sol colpo, ma essendo 'l prulleticar ben fatto, dette 'n risata tossicando per via di quello che in dentro eragli ito.
«Bei, Chiappo» dissegli uno.
«Più 'n su' diti, Zoppo» un altro disse. E tutti diceano 'l suo fra risate diavolose. Veder si potea benissimo che Chiappo erasi messo a brutto partito, e già forse capìa che 'l provarsi inutile l'era. Quando, come si dice, capitan cose a giusto accomodare, s'udì al fuori un gran vociare come di genti 'n rissa. Tutti uscirono per meglio darsi convinti, e Chiappo rimasto solo con lo Zoppo, dettegli a questo in sulla faccia una tal pintata di piedi che mandollo per terra, e bevuto che s'ebbe un dopo l'altro quelli boccali, si tagliò 'l cordaccio e precipitossi fuori vociando: «Oilà! Chi muore e chi vive?». E per meglio esser sicuro, a nudo misesi lo stocco.
«Qual cosa succede?» chiese lo Zoppo che svelto a rimettersi 'n su' piedi l'avea seguito. «Or vedrocci chiaro» e con favellar forte vociò ancora: «Oilà! Chi muore e chi vive?».
E uno che quasi a camminar svelto passaa, a lui rispose: «Puzza c'è di traditori stanotte, e se delli Ardinghelli siei, vien meco». E sempre di svelto allontanossi altrove.
«Cane crostoso, qual cosa sarà vienuta in fòra ora? E li occhi di brage non abbiamo che luce potessin dare a questa notte. Ascolta, Zoppo dannato, sembrami che il bociar da quella parte divienga».
«Anche a me Chiappo» quello rispose.
«Agnamo, qualcuno, forse, sta in aspettar di bracce, ma ti giuro che molto amo la stella che chiaro fa in ogni loco». E passata una svolta, udir poterono il favellar di quelli, che d'ira sembraa pieno.


 

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