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Il percorso dell'io

Per comprendere meglio l'io

Nelle pagine di questo sito l'io è sempre stato considerato uno dei protagonisti dell'avventura umana (gli altri essendo la psiche, il cervello, e – per quanto resti in gran parte sconosciuto – lo spirito): anzi, potremmo dire che all'io è stato affidato il ruolo principale. Tuttavia, sebbene nella pagina delle Definizioni sia presente una descrizione di massima dell'io, non possiamo affidarci soltanto all'evidenza dell'esperienza soggettiva di ognuno di noi, proprio perché – a causa della sua soggettività – l'autoconoscenza dell'io può essere diversa da una persona all'altra, ed è anche soggetta a trasformarsi nel corso della vita di una stessa persona. Essendo l'io il centro di riferimento della vita interiore cosciente, potremmo dare per scontato che qualsiasi persona, dotata di un cervello normalmente funzionante, possa essere in grado di sapere per esperienza diretta cos'è l'io, ma le cose non sono così semplici: l'antica iscrizione del tempio di Apollo a Delfi, gnòthi seautón, conosci te stesso, rende bene l'idea di un percorso non facile che deve essere intrapreso per raggiungere una meta, e potrebbe anche essere tradotta come conosci il tuo io. Come vedremo, si può anche individuare un percorso di trasformazione che ha come obiettivo di far emergere alla coscienza quello che alcuni hanno definito come il vero io, ed altri hanno chiamato il , senza tuttavia poter definire in modo univoco cosa si intende con questi termini.

Cercherò dunque adesso di delineare il percorso che, nel corso della vita, porta l'io a riconoscere e ad individuare se stesso: naturalmente, lo sviluppo di questo percorso si basa sulla mia esperienza personale – l'unica che io possa affermare di conoscere – ma penso che molti altri esseri umani possano riconoscersi almeno in alcune delle fasi di questo iter. Nella fase iniziale della vita, quando la coscienza comincia a tracciare le prime esperienze psichiche che possono essere registrate dalla memoria, l'io è del tutto indifferenziato, e si identifica completamente con le esperienze che lo coinvolgono. Il senso di un'identità propria è dato soprattutto dall'essere diversi da qualcun altro o da qualcos'altro: non siamo gli altri bambini, non siamo la mamma o il papà, non siamo un albero o una casa, e gli altri ci dicono cosa siamo, come ci chiamiamo, cosa possiamo o o non possiamo fare. C'è una certa immediatezza in quello che facciamo quando non siamo inibiti, dato che manca ancora una forma di riflessione profonda che preceda l'azione. Cominciamo ben presto ad essere programmati, ed a partire dall'età prescolare il trasferimento di ogni genere di programmi culturali – sia da parte di istituzioni sociali, sia da parte di gruppi di altre persone, compresi i nostri coetanei – impegna sempre più i circuiti neurali del nostro cervello. In questa fase possono cominciare a formarsi i primi barlumi di autopercezione dell'io come soggetto che sperimenta – tramite la coscienza – le dinamiche della psiche, con le quali tuttavia continua di norma ad identificarsi completamente.

A questo livello, l'io è in tutto e per tutto identico a quelle sintonie della psiche umana, che si manifestano tramite l'attività cerebrale di un nuovo individuo sociale in via di sviluppo. I programmi culturali acquisiti comportano spesso anche l'interpretazione delle varie esperienze psichiche nelle quali l'io può essere coinvolto, ed in relazione alle quali un giovane può sentire l'impulso a rivolgersi agli altri, adulti o coetanei, per essere istruito sulle possibili modalità di reazione e di elaborazione. Il destino di ogni persona – includendo in questo termine tanto la qualità operativa del suo cervello, quanto gli stimoli ambientali ai quali il cervello reagisce ed i programmi culturali che gli vengono trasmessi – fa sì che si formi col tempo, in ognuno di noi, un quadro personale, che possiamo chiamare caratteriale, mediante il quale la persona interagisce con l'ambiente naturale e sociale, e si confronta con le proprie dinamiche psichiche. Se ci limitiamo, tuttavia, ai fattori che interagiscono in questa fase (che in genere si protrae fino al termine dell'adolescenza, ma spesso anche oltre), ci troviamo di fronte a quello che io ho chiamato l'automa umano: un essere nel quale le dinamiche psichiche sintonizzate dal cervello determinano reazioni e comportamenti che coinvolgono l'io, senza che esso disponga di alcuna forma di effettiva autocoscienza né di alcuno strumento di controllo nei confronti di tali dinamiche.

Anche se è vero che, a partire dagli ultimi anni della prima decade di vita e per tutta la seconda decade, l'attività cosciente si amplia e si rinforza, e l'io sempre più spesso prende delle decisioni e valuta le esperienze psichiche nelle quali viene coinvolto – soprattutto quando queste comportano conflitti interiori e sofferenze che non riesce ad evitare – non si può ritenere che a queste dinamiche corrisponda un processo di autoconoscenza da parte dell'io, il quale di norma continua ad identificarsi con l'uno o con l'altro aspetto della psiche. Dunque ciò che caratterizza la prima parte della vita è il continuo esercizio con il quale l'io si addestra a gestire le proprie dinamiche psichiche – che, lo ricordiamo, possono essere molto diverse da una persona all'altra – in modo da evitarne alcune (quelle che gli procurano sofferenza o emozioni sgradevoli) e sollecitarne altre (che gli danno gioia e piacere), adeguando le proprie scelte ed i comportamenti del corpo ai programmi ricevuti, sotto la guida delle figure di riferimento, considerate più esperte della vita. Com'è ovvio, le dinamiche della psiche non dipendono dalla volontà dell'io (se così fosse, l'io sarebbe sempre felice), il quale non di rado è costretto a subire esperienze di cui farebbe volentieri a meno: non solo nel passato, ma anche oggi ci sono ancora molte vite in cui il bilancio tra esperienze positive e negative è a tutto vantaggio di quest'ultime.

A questa prima fase della vita ne può seguire una seconda, che inizia nell'adolescenza e si protrae nell'età adulta, nella quale l'io cerca di sperimentare, per quanto possibile, nuove dinamiche psichiche, elaborando criticamente – anche alla luce delle nuove esperienze – i programmi mentali che gli sono stati trasmessi. Affinché questo processo possa svolgersi, è necessario che l'io disponga di una certa libertà d'azione e di spirito di iniziativa, altrimenti verrà bloccato dai propri schemi mentali o dal timore dei rischi ai quali si espone. Tuttavia nemmeno questa fase esplorativa implica un'evoluzione dell'io in funzione della conoscenza di se stesso: l'io continua ad essere coinvolto in una serie di esperienze psichiche che, nel migliore dei casi, gli rendono la vita affascinante ed interessante (il che è già un risultato da non sottovalutare) e nel peggiore la trasformano in un inferno (come possono testimoniare, per esempio, alcuni tossicodipendenti). Affinché l'io possa intraprendere il percorso che lo può condurre all'autorealizzazione della propria essenza ed alla liberazione dalla soggezione nei confronti della psiche, deve essere presente una predisposizione, che potrebbe essere interpretata come un richiamo da parte dello spirito.

Le diverse esperienze di vita

Prima di trattare del percorso che conduce l'io verso l'autoconoscenza, occorre riflettere sull'estrema diversità delle esperienze di vita individuali, e sulle cause che determinano tali diversità. Ognuno di noi conosce abbastanza bene la propria vita e le condizioni in cui si svolge, e spesso siamo ingenuamente portati a ritenere che anche gli altri – quanto meno coloro che vivono nel nostro ambiente e condividono la nostra cultura – funzionino più o meno come noi. Ma non è così. Si tratta di un modo di vedere le cose ispirato dalle sintonie della psiche in base alle quali vengono messi a punto i programmi di modellamento sociale che hanno lo scopo di far comportare gli esseri umani come cittadini più o meno standardizzati. Ovviamente, nell'ambito di un funzionamento sociale organizzato e coordinato, l'obiettivo di armonizzare i comportamenti umani è ben comprensibile, ma i programmi attraverso i quali viene perseguito mostrano – almeno allo stato attuale – tutti i loro limiti, dato che si fondano su presupposti errati, arbitrari o utopistici. Accade così che, anche all'interno di uno stesso gruppo sociale, le esperienze di vita possano variare moltissimo da un essere umano all'altro.

L'origine e lo sviluppo delle culture umane sono stati condizionati dai fattori climatici, geografici, ambientali che caratterizzano le diverse aree del nostro pianeta, piccolo e isolato in confronto alle dimensioni del sistema solare (per non parlare dell'universo), ma talmente grande in relazione alle dimensioni del corpo umano, che fino a qualche secolo fa gli umani che vivevano in una parte del mondo non sapevano niente dell'esistenza di altri gruppi umani in altre parti del mondo, e viceversa, anche se tutti discendevano da comuni antenati. Quanto alle differenze di funzionamento del cervello, queste sono evidenti nell'ambito di una stessa cultura, in termini di intelligenza, di determinazione, di creatività, di capacità organizzative ed imprenditoriali, ecc. Se mettiamo a confronto culture che si sono sviluppate in ambienti molto diversi, alcune differenze di rilievo sono evidenti, per esempio tra quelle culture che hanno sviluppato un sistema di comunicazione scritta e di registrazione degli eventi del passato, e quelle che ne sono prive. Per il progresso di una cultura, è anche importante la capacità di trasmettere ai propri membri le risorse (lettura e scrittura) necessarie per accedere direttamente al patrimonio culturale disponibile.

Dunque la gamma delle esperienze di vita che il destino riserva ai singoli esseri umani, e che vengono sperimentate dall'io, è talmente ampia, da rischiare talvolta di degradare lo stato complessivo dell'umanità fino ad un livello caotico, nel quale le esperienze psichiche individuali sono discordanti ed in conflitto tra loro. Riuscire a far funzionare organizzazioni umane composte da milioni di individui in modo che mantengano una coesione sufficiente, senza disgregarsi, è un'impresa difficile, dato che i risultati ottenuti in un certo periodo storico corrono spesso il rischio di essere vanificati in un periodo successivo. Ma anche all'interno di una società sufficientemente coesa, singole esperienze di vita possono deviare considerevolmente dalla media, tanto in modo positivo quanto – e molto più spesso – in modo negativo. Sebbene nulla ci impedisca di sperare in un futuro migliore e più equilibrato per tutti, ed eventualmente di impegnarci affinché questo possa accadere, resta – dal punto di vista dell'io cosciente – il problema interpretativo e conoscitivo del significato di tutte le esistenze infelici attuali e del passato. È infatti estremamente ingenuo – ed anche ingiusto – ritenere che l'io possa controllare intenzionalmente tutte le circostanze e gli eventi della propria vita, determinando il proprio destino: quando questo accade – e di fatto accade per alcune vite molto più che per per la maggior parte delle altre – è perché l'io può fare affidamento su particolari risorse non ordinarie di organizzazione, di volontà e di intelligenza.

Nel valutare il significato della vita umana dal punto di vista dell'esperienza individuale dell'io cosciente, si ha sempre l'impressione di dover fare riferimento a qualcosa che va oltre questa dimensione e le sintonie psichiche prevalenti che la caratterizzano, a meno di non volersi accontentare di una visione riduttiva che considera la vita umana come un fenomeno caotico, transitorio, squilibrato e privo di senso: una visione che è abbastanza diffusa nella cultura dei nostri giorni, e che non offre nessuna giustificazione in merito allo sforzo ed all'impegno necessari per continuare a vivere e per far progredire il progetto umano. Tuttavia, affinché l'io possa acquisire il diritto di poter esprimere responsabilmente il proprio parere in merito alla condizione umana, nella quale è chiamato a giocare un ruolo di primo piano, è necessario che riesca anzitutto ad emanciparsi dalla condizione di automa umano nella quale viene di norma relegato, prendendo coscienza della propria dipendenza dalle dinamiche della psiche nelle quali viene coinvolto. Per quanto strano possa sembrare, l'io della maggior parte degli umani resta prigioniero di queste dinamiche, siano esse positive o negative, per tutta la durata della vita: in questi casi la vita di una persona non offre le condizioni più adatte all'evoluzione dell'io cosciente, ma il suo scopo sembra quello di alimentare il progetto umano nel suo insieme. Resta però da interpretare, nell'ambito di questo progetto, il significato ed il ruolo delle vite di quegli automi umani che, col loro comportamento, causano danno e sofferenze agli altri.

Dunque, affinché l'io possa percorrere il sentiero di liberazione dalla normale condizione umana, trasformandosi da automa umano in essere umano, è necessario anzitutto che l'espansione intelligente della coscienza lo porti a percepire gli aspetti dinamici e controversi della psiche umana, così come si manifestano non solo nella sua mente, ma anche nei vari interscambi che avvengono nel network dei cervelli. Fin quando l'io continua ad identificarsi con le dinamiche psichiche che lo coinvolgono, non solo sarà costretto a subire gli aspetti negativi di tali dinamiche, nel momento in cui non riuscirà più ad evitarli, ma dovrà anche riconoscere il fatto che gli io degli altri suoi simili si trovano in una condizione analoga alla sua, indipendentemente dalle dinamiche psichiche più o meno estreme o anomale in cui possono essere coinvolti dal loro destino personale e dal funzionamento del loro cervello. Ovviamente, questo non significa mettere tutte le dinamiche della psiche sullo stesso piano, come se non vi fosse differenza tra un santo ed un criminale sadico: significa solo riconoscere che il problema dell'io, in relazione alla condizione umana, consiste proprio nella sua capacità di differenziarsi e di destreggiarsi coscientemente nei confronti delle dinamiche della psiche che lo coinvolgono, tentando di sopraffarlo.

Anche nel caso in cui le sintonie psichiche potessero essere etichettate con certezza in buone e cattive (con diversi gradi di intensità per entrambe le categorie), resterebbe il problema di comprendere le ragioni del coinvolgimento dell'io in questo conflitto che, con ogni evidenza, lo riguarda da vicino. E che dire di tutte quelle situazioni nelle quali ciò che appare come bene per una persona finisce per comportare qualcosa di male per qualcun altro, oppure una scelta che appare come buona in un determinato momento comporta in seguito conseguenze negative per quella stessa persona che ha preso quella decisione? Il fatto è che in ogni caso – tanto nel bene quanto nel male – ci troviamo di fronte ad un potere più o meno intenso di persuasione e di coinvolgimento che la psiche esercita nei confronti dell'io. Da qui nasce l'esigenza dell'io di differenziarsi dalla psiche, via via che la coscienza si evolve, per potersi orientare nel complesso labirinto delle dinamiche psichiche sulla base di un nuovo equilibrio che tenga conto della sua autonoma essenza, emancipandolo rispetto al ruolo di automa umano nel quale era rimasto confinato. Questo è lo scopo e l'obiettivo a cui mira il processo di autoconoscenza dell'io.

L'io cerca di sapere qual è la sua vera essenza

Quando l'io intraprende il proprio percorso di differenziazione rispetto alle dinamiche della psiche in cui è coinvolto, iniziando a riflettere ed a meditare sulla propria condizione, la prima cosa di cui prende atto è il suo ruolo di sperimentatore – tramite la coscienza – proprio di questo o di quell'aspetto della psiche. Questo fatto sembra determinato da una necessità di ordine superiore, la quale impone che, mediante l'attività cerebrale, le dinamiche della psiche debbano essere vissute – cioè godute, sofferte e comunque elaborate – da qualcosa che si frammenta in una miriade di nuclei individuali, in qualche modo interconnessi tra loro. Ognuno di questi nuclei individuali è un io cosciente. L'io sente di essere qualcosa di simile ad un bersaglio per le esperienze psichiche determinate dal funzionamento del suo cervello, che vengono percepite come molto reali, sia nel caso in cui le gradisca e le desideri, anche intensamente, sia che le tema e cerchi di evitarle, in quanto causa di sofferenze. È evidente che l'esistenza della coscienza è un dato di fatto di per sé estremamente significativo, che porta sulla scena – quanto meno di questo mondo – un elemento nuovo e diverso rispetto alle leggi fisiche da noi conosciute. In ogni caso, per poter funzionare correttamente, la coscienza presuppone l'esistenza di un soggetto – l'io cosciente – al quale ogni elemento che diventa cosciente viene riferito. Nell'ambito di questo processo, l'io cosciente dimostra di avere una propria sensibilità ed una propria autonoma esigenza evolutiva, che sono diverse da una persona all'altra.

Nella maggior parte dei casi i programmi socioculturali dominanti determinano il funzionamento di una persona per tutto l'arco della sua vita, ma le sintonie psichiche che ognuno di noi sperimenta possono essere – come abbiamo visto – molto diverse. Comunque, nel momento in cui l'io comincia ad interrogarsi non solo sul proprio ruolo nelll'ambito di questo fenomeno straordinario che è la vita umana, ma anche in relazione alla propria evoluzione in funzione di un'esistenza trascendente e permanente (cioè non temporanea), può iniziare il suo percorso verso la ricerca autonoma della propria essenza. L'obiettivo di questo percorso può anche essere, in casi estremi, quello di distaccarsi completamente dalla psiche umana – un processo che avviene comunque come conseguenza della morte – ma più spesso si tratta di un'esplorazione intenzionale e controllata di particolari zone della psiche (o, come io preferisco chiamarle, di particolari sintonie psichiche) che rivelano all'io elementi realmente significativi in merito alla sua natura. La cultura prevalente nella nostra epoca rende particolarmente difficile l'esplorazione di queste sintonie psichiche, che divengono per noi come iinvisibili, non perché non esistono, ma per un motivo analogo a quello per cui la luce del giorno ci impedisce di vedere le stelle, che pure sono presenti in cielo.

Vorrei fare un esempio della relazione dell'io con una particolare sintonia psichica: nel 1535 Ignazio di Loyola (1491-1556) scrisse i suoi Esercizi spirituali, pubblicati in latino nel 1548. Il comma 23 di tale libro, intitolato Principio e fondamento, inizia con queste parole: «L'uomo è creato per lodare, riverire e servire Dio nostro Signore, e così raggiungere la salvezza; le altre realtà di questo mondo sono create per l'uomo e per aiutarlo a conseguire il fine per cui è creato. Da questo segue che l'uomo deve servirsene tanto quanto lo aiutano per il suo fine, e deve allontanarsene tanto quanto gli sono di ostacolo». Oggi noi possiamo ragionevolmente ritenere che Ignazio di Loyola credesse nella reale ed oggettiva esistenza del Dio a cui faceva riferimento, e nella verità del fine per cui riteneva che l'uomo fosse stato creato, tanto che tutta la sua vita successiva fu coerente con le finalità da lui enunciate. Tuttavia, dal nostro attuale punto di vista, risulta molto più corretto affermare che una particolare sintonia psichica coinvolse l'io cosciente di Ignazio, il quale ne fu conquistato fino al punto di identificarsi completamente con tale sintonia, agendo e comportandosi in piena coerenza con essa fino al termine della sua vita.

Alla luce delle nostre attuali conoscenze, infatti, noi non possiamo assolutamente comprendere a cosa si fa riferimento quando si parla di Dio nostro Signore: possiamo solo constatare che la condizione umana sul nostro pianeta è condizionata dall'azione di certe energie e dal funzionamento di certi sistemi, che determinano le dinamiche psichiche sperimentate dal nostro io, tra le quali può essere certamente inclusa anche quella di Dio, per coloro che se ne sentono coinvolti (sempre tenendo ben presente che questo termine può essere riferito ad entità molto diverse, che andrebbero chiarite caso per caso). Di conseguenza, non possiamo comprendere in base a quali dati e considerazioni si possa affermare che l'uomo è creato per lodare, servire e riverire Dio: se non che, proprio sulla base dell'effetto convincente che questa sintonia della psiche aveva sull'io cosciente di Ignazio, possiamo affermare anche ai nostri giorni che l'uomo è creato per lodare, servire e riverire le sintonie della psiche con le quali il suo io cosciente si identifica. È importante, comunque, evidenziare come la sintonia psichica con la quale si identificava l'io di Ignazio prevedesse che si potesse raggiungere la salvezza (ovviamente, dopo la morte), mentre la maggior parte delle sintonie psichiche con le quali molti umani si identificano attualmente non prevedono nemmeno una simile eventualità!

Si comprende dunque come l'autoconoscenza dell'io e del suo ruolo nella vita umana abbia un'importanza fondamentale per la liberazione dell'io dalla completa subordinazione alle istanze psichiche che lo coinvolgono e – potremmo aggiungere – ai poteri che determinano e controllano le dinamiche della psiche umana. Nel caso di Ignazio di Loyola, l'esperienza psichica del Dio nostro Signore implicava di per sé il riconoscimento del ruolo di completa sottomissione dell'io al volere divino, nella speranza di una salvezza futura, una volta che la dura prova della vita terrena fosse giunta al termine. Ma questa salvezza – che si configura come la speranza di una futura condizione paradisiaca finalmente liberata da tutte le pene della vita umana – è anch'essa un'istanza verso la quale l'io si sente attratto: in sostanza l'io è l'elemento chiave di un processo per cui viene a trovarsi in un labirinto di dinamiche psichiche, all'interno del quale deve riuscire ad orientarsi ed a trovare un proprio percorso verso una meta che percepisce, con maggiore o minore chiarezza, come congeniale alla propria essenza. Dunque il problema dell'autoconoscenza dell'io diventa anche il problema dell'individuazione delle risorse sulle quali l'io può fare affidamento per affrontare il percorso nel labirinto della psiche, per chiarire a se stesso la meta che gli è congeniale, e soprattutto per capire se le varie tappe del percorso intrapreso lo stiano effettivamente conducendo alla sua meta.

Fintanto che l'io si identifica con le dinamiche della psiche che assumono  il controllo del suo sistema psicofisico, ognuno di noi è quello che è, nel bene e nel male, cioè un automa umano che reagisce alle circostanze che si presentano:  ovviamente, chi è buono si comporterà ed agirà in accordo con i propri principi e per gli scopi benefici ed altruisti ai quali si ispirano i programmi su cui si fonda il suo funzionamento mentale, mentre il cattivo agirà per scopi egoistici, per ingannare o danneggiare il prossimo e per imporre agli altri le istanze della psiche che lo controllano. Si ha l'impressione che gli automi umani siano come i pezzi bianchi e neri che si muovono su una scacchiera, eseguendo i comandi delle forze psichiche che li controllano. Si potrebbe sostenere, con qualche ragione, che il processo di evoluzione dell'umanità comporti una progressiva transizione della condizione umana dal male verso il bene, ma – almeno fino ad oggi – la storia delle vicende umane assomiglia piuttosto ad una successione di partite nelle quali prevale ora il bianco, ora il nero, con molte patte. Questo stato di cose spinge l'io cosciente a cercar di comprendere meglio la sua origine, la sua condizione ed il suo ruolo: qualcosa lo sollecita a non accontentarsi più della supina acquiescenza alle dinamiche della psiche, positive o negative che siano, ma a ricercare in se stesso il senso della propria esistenza temporanea in questa vita, in funzione di un'esistenza più stabile e più completa, non condizionata da una freccia del tempo unidirezionale.

Le risorse dell'io

Non è un percorso semplice quello che porta l'io a riconoscere la propria autonomia rispetto alle dinamiche della psiche che continuano ad esercitare su di esso i propri effetti di coinvolgimento: infatti la sopravvivenza stessa del nostro organismo psicofisico dipende dalla capacità di adattamento dell'io ai programmi culturali dominanti nell'ambiente (inteso come rete di cervelli umani) in cui l'individuo viene allevato e con con cui interagisce, e dunque nella sottomissione dell'io alle istanze psichiche determinate da quei programmi. Le energie mentali di cui l'io dovrebbe poter disporre per scoprire e perseguire il proprio percorso evolutivo sono quasi sempre drenate non solo dagli scopi sociali, ma anche dalle molte ed inutili attività di intrattenimento e ricreative dalle quali l'io viene irretito ed ammaliato – magari sollecitando il suo narcisismo sociale – in modo che non reagisca negativamente alle richieste dei programmi collettivi. Dunque, il primo ostacolo che l'io deve fronteggiare e superare nel suo percorso evolutivo è quello di riuscire a mantenere un equilibrio tra le istanze psichiche derivanti dalle esigenze di adattamento sociale e l'esigenza di risparmiare energie da dedicare al proprio processo conoscitivo ed evolutivo. Se quest'ultimo prevale a scapito delle prime, la vita stessa di una persona può andare in crisi, terminando con un suicidio o esaurendosi in uno stato di emarginazione spesso degradante.

Per queste ragioni, il periodo migliore per dedicarsi all'autoconoscenza dell'io è costituito da quella parte della vita in cui una persona, raggiunta la pensione, non deve più preoccuparsi di procurarsi le risorse per il proprio sostentamento. Va detto tuttavia che spesso chi arriva all'età della pensione è già profondamente condizionato dai programmi culturali ai quali si è adattato per gran parte della vita, dai legami affettivi e dai vincoli sociali, e di conseguenza non dispone più dell'autonomia e dell'elasticità necessarie per intraprendere il percorso di liberazione dell'io, il quale resta spesso irretito nelle dinamiche psichiche determinate dai programmi di svago per la terza età, così diffusi nella nostra cultura. Dunque, affinché l'io possa intraprendere questo percorso evolutivo, è necessario anzitutto che senta il richiamo da parte di qualcosa il cui riflesso si differenzia dalle altre esperienze psichiche, in quanto è strettamente connesso con l'io stesso, pur senza essere identico ad esso. La sorgente di questo richiamo è lo spirito, il quale – almeno nelle fase iniziali – non è nulla più che una specie di evanescente compagno ombra dell'io, un'entità incerta e confusa che l'io non riesce nemmeno a mettere bene a fuoco, dalla quale tuttavia proviene un'esortazione all'io affinché si dedichi a riflettere su se stesso mediante la propria coscienza.

Se l'io ascolta questo richiamo, si rende disponibile a collaborare con lo spirito in un comune lavoro di autoconoscenza che richiede risorse non comuni di intelligenza, di equilibrio interiore, e di distacco dalle dinamiche psichiche coinvolgenti prvocate dagli eventi della vita e dal funzionamento della propria mente. Con l'aiuto dello spirito, l'io comincia a cambiare, o quanto meno a differenziarsi rispetto alla propria precedente condizione, dato che l'influenza dello spirito controbilancia il potere di coinvolgimento delle dinamiche della psiche, dalle quali l'io non si sente più così attratto. Accade così che l'io cosciente cominci a separarsi, dapprima in modo quasi impercettibile, poi sempre più sensibilmente, dalla singolarità della condizione umana alla quale è collegato tramite il proprio sistema psicofisico. Questo non significa che l'io debba perdere interesse nella propria individualità e nelle sintonie psichiche ad essa collegate: si tratta piuttosto di una lenta ma costante trasformazione mediante la quale la singolarità del destino individuale si dissolve nella più ampia comprensione del significato della vita, di cui lo spirito dà un'interpretazione svincolata dai limiti dello spazio e del tempo. Lo spirito fa sì che l'io cosciente, nel percepire la singolarità della propria condizione individuale, senta anche l'effetto di tutta la miriade di esperienze personali nelle quali si frammenta la vita umana.

A questo punto lo sforzo mentale ed intellettuale per risolvere non questo o quel problema della propria vita personale, ma l'enigma della vita umana nel suo complesso, non raggiunge alcun risultato: a causa dell'attaccamento alla vita del proprio organismo, l'io potrebbe naufragare nel mare delle contraddizioni e dei conflitti della psiche umana, se lo spirito non gli offrisse il salvagente della liberazione mediante la percezione del carattere non permanente della condizione umana. Spesso – forse più nel passato che nel presente – l'io di alcune persone ha scelto di morire per una causa o per un ideale, piuttosto che continuare a vivere (comunque solo per un tempo limitato) in condizioni che non riconoscevano quell'ideale. E se talvolta si trattava di persone che non avevano nulla da perdere, fuorché – come si suol dire – le loro catene, in altri casi a compiere questa scelta erano persone facoltose, di buona cultura, con una vita affettiva ed intellettuale intensa e gratificante: in poche parole, persone di successo e di elevato stato sociale. Se volessimo attribuire anche questi casi all'assoggettamento dell'io da parte di determinate sintonie della psiche, dovremmo riconoscere l'anomalia di tali sintonie che, anziché vincolare l'io alla vita, lo porterebbero a scegliere coscientemente la morte. Inoltre, in questi casi, la morte non viene sentita quasi mai come la fine dell'esistenza dell'io, ma come il transito verso una forma di esistenza più dignitosa e conforme alla natura ed alle legittime esigenze dello spirito dell'io cosciente, di fronte alle quali le miserie e le meschinità a cui l'io viene costretto dalle esigenze di sopravvivenza impostegli dalla condizione umana vengono sentite come intollerabili.

Via via che la coscienza si esercita e si rinforza, l'io compie delle scelte nei confronti delle dinamiche della psiche che cercano di coinvolgerlo, e queste scelte sono determinate dal livello più o meno evoluto dello spirito al quale l'io si sente collegato: vi sono persone che manifestano tangibilmente quella che viene riconosciuta come una vera nobiltà d'animo, o di spirito che dir si voglia, mentre altre ne sono del tutto carenti. Ovviamente, in quest'ultimo caso l'io è completamente sottomesso alle dinamiche della psiche in cui viene coinvolto. Ogni volta che qualcuno è disposto a mettere coscientemente a rischio la propria vita per difendere un ideale o sostenere un diritto – soprattutto quando questa posizione è in funzione del bene collettivo e va a scapito del proprio vantaggio personale – possiamo pensare di essere di fronte ad uno spirito che è in grado di contrastare efficacemente le dinamiche della psiche che irretiscono l'io sollecitandone l'attaccamento ad una vita non degna di questo nome. Anche in questi casi, tuttavia, non possiamo sottrarci all'impressione che la vita umana sia comunque caratterizzata da dinamiche psichiche conflittuali delle quali l'io cosciente deve sopportare le conseguenze. Inoltre, in certi periodi storici, gli stessi programmi culturali dominanti attivano dinamiche psichiche improntate allo spirito di sacrificio: si pensi, per esempio, alle grandi guerre del secolo scorso, nel corso delle quali migliaia di combattenti erano chiamati a sacrificare la propria vita per amore della patria.

Penso che ciò di cui l'io cosciente possa avere veramente bisogno sia uno spirito che gli faccia da guida nel labirinto delle dinamiche della psiche, aiutandolo poi ad avviarsi serenamente verso il portale della morte. Con la collaborazione dello spirito, l'io dovrebbe essere in grado di liberarsi da un eccessivo attaccamento a questa vita organica, e dunque dalle dinamiche psichiche che gli impongono tale attaccamento, e nello stesso tempo dovrebbe poter utilizzare la vita come una palestra nella quale la coscienza si esercita, si rinforza e si evolve, in modo da costituire per l'io una valida risorsa, soprattutto se viene affiancata da un'intelligenza vigile, creativa e dotata di spirito critico e di senso dell'umorismo. Se qualcuno, a questo punto, volesse obiettare che tutte queste risorse dipendono dal funzionamento del cervello, non avrei nessuna difficoltà a rispondere che il cervello non è altro che uno degli strumenti con cui la Mente universale si manifesta in questa dimensione fisica, frammentandosi in una miriade di creature coscienti: dunque lo spirito può esercitare la sua influenza anche sul funzionamento del cervello. A sua volta l'io, nel richiedere la guida e l'aiuto dello spirito, si impegna a collaborare nella ricerca di un significato della vita che vada oltre le necessità contingenti imposte dalla sua permanenza in questo mondo.

Lo spirito e l'io possono essere considerate come due facce di una stessa medaglia, o due polarità di una stessa essenza: di norma l'io non conosce lo spirito, mentre crede di conoscere se stesso, confondendo – come abbiamo ripetutamente sottolineato – le dinamiche della psiche che lo coinvolgono, e con le quali si identifica, con la propria autentica natura. Quasi sempre l'io conosce di sé solo la descrizione e la rappresentazione che perviene alla sua coscienza tramite la psiche ed i programmi culturali acquisiti. Questa è la ragione per cui l'esortazione «conosci te stesso», con cui ho iniziato questa pagina, è ancor oggi piena di significato. L'io, infatti, può differenziarsi dalle dinamiche della psiche, rivendicando il proprio diritto ad esistere in una forma indipendente dal sistema organico temporaneo al quale è vincolato nel corso della vita umana, se lo spirito ha sufficiente potere per sostenerlo e guidarlo in questa non facile impresa. Così come l'io è l'espressione di una frammentazione della coscienza nella pluralità dei sistemi psicofisici che vivono ed hanno vissuto in questo nostro mondo, ciascuno sperimentando una gamma limitata di sintonie della psiche, anche lo spirito sembra soggetto a qualcosa di analogo nella propria dimensione, che si traduce in una varietà di livelli di evoluzione (o, come forse sarebbe più appropriato dire, di apprendimento ed esercizio) dei singoli spiriti, e di conseguenza in una più o meno efficace capacità di influenzare l'io.

La nostra coscienza, la nostra intelligenza e la nostra capacità di comprensione non ci consentono di andare oltre. Per quanto riguarda la condizione umana, abbiamo dovuto prendere atto di tutti i limiti imposti all'io sia dalle risorse del sistema organico al quale è associato, sia dalle condizioni ambientali, sociali e culturali nella quali viene allevato, con le quali interagisce ed alle quali reagisce. Le informazioni relative al declino delle proprie risorse fisiche e mentali nella parte finale della vita, e la consapevolezza del carattere temporale e transitorio della vita umana, impediscono all'io di poter pervenire ad una conoscenza soddisfacente del significato della vita e della psiche umana, con tutti i loro aspetti contraddittori e conflittuali: l'io è dunque obbligato a riconoscere ed a difendere il proprio diritto ad un'esistenza dotata di un significato, continuando – al termine di questa vita – la propria esperienza in una dimensione diversa da quella terrena. Lo spirito, cioè l'entità esistenziale tramite la quale l'io cosciente continua ad esistere una volta terminata la vita umana, può cercare di influenzare l'io già nel corso della vita, per controbilanciare l'eccessivo coinvolgimento dello stesso nelle dinamiche psichiche prettamente umane. Quanto all'esistenza dello spirito, non sappiamo se sia incondizionatamente libera, o se sia anch'essa soggetta – come è più probabile – alla tensione generata dall'esigenza di procedere lungo un percorso sperimentale, conoscitivo ed evolutivo, nell'ambito di un inderogabile disegno di ordine superiore. Le nostre capacità e le nostre risorse, in quanto esseri umani, ci consentono solo di esplorare le possibilità di transizione dal nostro livello umano a quello spirituale. 


 

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Un libro da leggere
Il bene e il male
Controllo della psiche
Il percorso dell'io
Le dinamiche umane
Il cervello e la psiche
L'Universo e la Natura
Coscienza intelligente
I due lati della vita
L'energia psichica
Avatar e Giocatore
La credibilità dei fatti
La materia aliena
La Mente creativa