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Gli studi e le ricerche sulle NDE L'interesse culturale suscitato dalle NDE Da quando, nel 1975, il filosofo e medico americano Raymond A. Moody (nato nel 1944) pubblicò il suo primo libro Life After Life (La vita oltre la vita), utilizzando l'acronimo NDE per riferirsi in particolare alle esperienze soggettive raccontate da persone che si erano trovate in condizioni critiche a causa di gravi malattie, di eventi traumatici, o per arresto cardiaco, l'interesse per questo genere di esperienze è diventato un fenomeno culturale di massa, soprattutto (ma non solo) negli Stati Uniti ed in Inghilterra. Prima di Moody, la psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross (1926-2004), trasferitasi a New York nel 1958, si era particolarmente impegnata nelle ricerche sulle esperienze relative alla morte nei malati terminali, soprattutto sotto il profilo della sofferenza non solo fisica, ma anche mentale. Nel suo lavoro a stretto contatto con i malati terminali, aveva avuto modo di raccogliere alcune testimonianze di NDE, pubblicate nel suo libro del 1969 On Death and Dying: What the dying have to teach doctors, nurses, clergy, and their own families (La morte e il morire: quello che i morenti possono insegnare ai medici, alle infermiere, ai sacerdoti, ed ai propri familiari). Fu proprio la Kübler-Ross a scrivere, nella sua presentazione nella prima edizione del libro di Moody (poi sostituita, nelle edizioni più recenti, dal quella di Eben Alexander): «Poiché ormai da vent'anni mi occupo di pazienti affetti da malattie incurabili ho provato un interesse sempre più acuto per il fenomeno della morte. Sappiamo molto su come si giunge alla morte, ma sono numerosi i problemi insoluti che riguardano il momento del decesso e l'esperienza conosciuta da pazienti dichiarati clinicamente morti. Una ricerca come quella presentata in questo libro dal dottor Moody chiarirà molte cose e confermerà quel che ci hanno insegnato da duemila anni: esiste una vita oltre la morte». Quasi mezzo secolo è trascorso da quando furono scritte queste parole: in questo periodo, non solo il libro di Moody ha venduto molti milioni di copie in tutto il mondo, ma lo stesso è accaduto anche per i libri scritti da persone che hanno sperimentato una NDE – celebre è il caso di Betty Eadie e del suo Embraced by the Light (Abbracciata dalla Luce) – i cui autori sono spesso diventati ospiti richiesti di talk shows, convegni e conferenze. Nel frattempo le tecniche mediche di rianimazione e resuscitazione hanno fatto consistenti progressi, come ben spiegato dal medico specialista britannico Sam Parnia nel suo libro Erasing Death (Cancellare la morte), pubblicato nel 2013. Proprio questi progressi hanno reso indispensabile sia una profonda revisione – tanto sul piano medico quanto su quello legale e socioculturale – del concetto stesso di morte come processo definitivo ed irreversibile, sia un ampliamento dei termini temporali richiesti prima di poter stabilire l'irreversibilità di tale processo: dunque, da evento pressoché istantaneo, qual era ancora considerato all'epoca in cui Moody pubblicò il suo libro, la morte si è trasformata in un processo temporale la cui durata può essere misurata in ore e perfino in giorni, e la cui certificazione definitiva dipende attualmente dalle leggi in vigore nello stato in cui tale processo si verifica. Il fatto che, in una percentuale crescente di decade in decade, pazienti che si sono effettivamente trovati in condizioni di morte clinica – per esempio in conseguenza di arresto cardiaco – vengano poi riportati in vita mediante tecniche di resuscitazione, incrementa anche il numero di coloro che sono in grado di raccontare le eventuali esperienze psichiche nelle quali il loro io cosciente è stato coinvolto durante un periodo che teoricamente dovrebbe essere di completo blackout mentale. Non è dunque per niente sorprendente l'interesse culturale suscitato dalle NDE in diverse fasce sociali. Nell'introduzione del suo libro, Moody scriveva: «Desidero dichiarare subito che non intendo... provare l'esistenza di una vita dopo la morte. Nè ritengo che una "prova" nel senso stretto del termine sia attualmente possibile». Tuttavia l'interesse di massa suscitato dalle NDE deriva dal fatto che la componente scientifica della cultura occidentale, indipendentemente dalle concezioni fideistiche basate sull'adesione all'una o all'altra confessione religiosa, da molto tempo aveva dato per scontata l'impossibilità per l'io cosciente di accedere ad esperienze psichiche – e dunque di esistere – una volta accertate le condizioni di morte clinica dell'organismo: le NDE provano, quanto meno, che questo non è vero. Ovviamente, esperienze simili alle NDE sono state riportate nelle cronache umane da ben prima che Moody scrivesse Life After Life: nel paragrafo Le NDE non sono un fenomeno recente della pagina introduttiva alla sezione sulle NDE, ho già citato un significativo episodio riportato dallo storico Ludovico Antonio Muratori in una sua opera del 1745. Un testo sulle testimonianze storiche di NDE è Near-Death Experiences – A Historical Exploration from the Ancient World to the Present Day di Marisa St Clair (pseudonimo di una scrittrice e conferenziera inglese specializzata in temi astrologici, spirituali e paranormali). Un altro libro interessante incentrato su una prospettiva storica è Otherworld Journeys: Accounts of Near-Death Experience in Medieval and Modern Times (1987) dell'americana Carol Zaleski, laureata ad Harward e professoressa di Religioni del mondo allo Smith College del Massachusetts: questo libro si occupa prevalentemente delle visioni interpretative dell'aldilà (inferno, purgatorio e paradiso) – da San Paolo al Venerabile Beda, passando per San Patrizio e San Gregorio Magno – e della loro elaborazione nell'ambito della mitologia cristiana. In ogni caso gli studi sistematici sulle NDE sono iniziati solo nella seconda metà del secolo scorso, anche in conseguenza dei progressi nelle tecniche di resuscitazione e nel diffondersi dell'interesse culturale nei confronti delle testimonianze relative a tali esperienze. È opportuno sottolineare subito la differenza che esiste tra coloro il cui io cosciente ha effettivamente sperimentato una NDE – soprattutto se tale esperienza rientra tra quelle più coinvolgenti, complete ed emotivamente positive – e coloro che provano interesse per le NDE e sentono il bisogno di venirne a conoscenza e di interpretarle – in un modo o nell'altro – pur senza averne mai sperimentata direttamente una sola: i primi conoscono direttamente almeno una NDE, mentre gli altri ne hanno solo sentito parlare, e mentre il numero dei primi è al massimo di alcuni milioni, il numero di questi ultimi è ormai di centinaia di milioni. È inoltre interessante osservare come non sia attualmente possibile ottenere volontariamente una NDE: una persona può decidere volontariamente di sperimentare gli effetti di una determinata sostanza psichedelica, procurandosela ed assumendone una certa dose (anche se talvolta gli effetti sperimentati non corrispondono a quelli desiderati o previsti), ma non può decidere di sperimentare una NDE, indipendentemente dal fatto che il suo organismo si trovi nelle condizioni critiche necessarie affinché il fenomeno possa verificarsi. Dunque anche le NDE rientrano tra quegli eventi aleatori – come i fenomeni paranormali – che non sono soggetti, almeno fino ad oggi, al controllo diretto della volontà umana: tutte le ricerche finora condotte non sono riuscite ad individuare una relazione tra l'orientamento dell'io cosciente dei possibili sperimentatori ed il verificarsi della NDE. L'uso della ragione umana nella valutazione delle NDE Come spesso accade quando non si hanno sufficienti conoscenze affidabili in merito alle cause che determinano un certo fenomeno, anche nel caso delle NDE sono state avanzate varie ipotesi interpretative sulla base di quel (poco) che sappiamo sul funzionamento del cervello: trattandosi di mere ipotesi, non possono ovviamente avere alcun reale valore conoscitivo fintanto che non vengono sperimentalmente comprovate, tuttavia coloro che le sostengono ritengono, in buona fede, che esse siano ragionevoli, dimenticando di quanto sia insidioso affidarsi ingenuamente alla ragione umana, la quale si fonda più che altro sulla capacità di persuasione determinata dalle sintonie psichiche culturalmente prevalenti. Nel caso delle NDE, una delle questioni alle quali è stata attribuita una particolare importanza è se queste esperienze – o almeno alcune di esse – possono dimostrare che è possibile l'esistenza dell'io cosciente (in grado di sperimentare dimensioni psichiche alternative) indipendentemente dal funzionamento del cervello. Poiché alcuni specialisti, in particolare medici, hanno sostenuto che questo è quanto effettivamente accade in alcuni casi, molti altri studiosi si sono affrettati a presentare argomentazioni – a loro avviso convincenti – per sostenere il parere contrario, e cioè che tutte le NDE sono determinate dall'attività cerebrale. Com'è ovvio, dato che le NDE sono già di per sé fenomeni aleatori che si verificano in una percentuale significativa ma pur sempre minoritaria dei casi di rianimazione o di resuscitazione, bisogna che le argomentazioni presentate si possano applicare a tutte le NDE ed a tutti gli aspetti che tali esperienze possono presentare: ma qui iniziano i problemi, dato che le NDE restano pur sempre esperienze soggettive, le cui narrazioni possono essere sospettate di inaccuratezza – quando non addirittura di falsità – in relazione a tutti quegli elementi che non è possibile spiegare sulla base della presunta attività cerebrale. Vediamo comunque di fare un po' di chiarezza sulla base di alcuni elementi indiscutibili, alla luce di quanto evidenziato dal dottor Sam Parnia, esperto internazionalmente riconosciuto nel campo delle tecniche di resuscitazione, nel suo libro del 2013 Erasing Death - The Science That Is Rewriting the Boundaries Between Life and Death (Cancellare la morte - La scienza che ridefinisce i confini tra la vita e la morte). Fino agli anni '60 del secolo scorso si dava comunemente per scontato, nell'ambito della comunità scientifica, che nella condizione di morte clinica conseguente ad arresto cardiaco l'attività cerebrale venisse rapidamente meno per effetto del mancato apporto di ossigeno al cervello: di fatto la morte veniva definita come quella condizione in cui il cuore ha cessato di battere, non vi è attività respiratoria (dato che i polmoni non funzionano più a causa dell'interruzione della fornitura di ossigeno) e le pupille permenentemente dilatate indicano la mancanza dei riflessi attivati dal tronco encefalico, sempre a causa della mancanza di ossigeno. L'arresto cardiaco è sinonimo di morte perché il cuore è la pompa che, facendo circolare il sangue, assicura la fornitura di ossigeno ad ogni parte del corpo. Ovviamente, quando il cuore cessa di battere inizia un processo di deterioramento delle cellule, dovuto alla mancanza di apporto di ossigeno, che non è istantaneo, ma dura più o meno a lungo nelle varie parti del corpo, anche in conseguenza delle condizioni ambientali (temperatura, umidità, ecc.) in cui tale processo si volge, e delle contromisure che l'organismo è in grado di mettere in atto per rallentare il deterioramento cellulare. Per i dettagli su questo processo rimando i lettori al capitolo 3 del libro di Parnia: per quanto concerne il cervello, quando la fornitura di ossigeno scende al di sotto di un certo livello, quest'organo smette completamente di funzionare entro pochi secondi. Dunque, sebbene la morte in conseguenza di arresto cardiaco possa oggi essere considerata come un processo reversibile, il rischio maggiore che comportano le tecniche di resuscitazione è quello di riportare in vita una cervello danneggiato in modo permanente. Nelle migliori condizioni di refrigerazione e di applicazione delle tecniche di resuscitazione, il cervello può essere attualmente riportato in condizioni di funzionamento anche dopo quattro ore dall'arresto cardiocircolatorio, senza aver subito danni permanenti. Va tuttavia ricordato che tutte le funzioni cerebrali si arrestano in ogni caso entro pochi minuti dal momento in cui il cuore cessa di battere. Bisogna dunque distinguere tra una condizione in cui le cellule dei nervi ed i neuroni del cervello sono in uno stato di rallentamento del processo di decomposizione, e le loro funzioni possono essere ripristinate (un periodo che teoricamente potrebbe arrivare ad un massimo di otto ore), e la condizione di funzionamento cerebrale necessaria a determinare un'esperienza cosciente (al massimo pochi minuti dall'arresto cardiaco). Questo è il motivo per cui coloro che subiscono un arresto cardiaco perdono conoscenza quasi istantaneamente. Dunque coloro che vogliono attribuire in ogni caso le NDE al funzionamento del cervello devono anzitutto dimostrare come sia possibile che tali esperienze abbiano luogo anche nei casi di arresto cardiaco. Di fatto, quando si fanno esperimenti con sostanze psichedeliche come la ketamina o la DMT, oppure quando si esaminano i report di esperienze simili alle NDE che si sono verificate in condizioni potenzialmente critiche per l'organismo nelle quali tuttavia il cervello era in grado di funzionare (come una caduta durante una scalata, o l'impatto in un incidente stradale), è ragionevole ricondurre l'esperienza all'attività cerebrale. Gli anestesisti, in base alla loro esperienza specialistica, possono ragionevolmente ritenere che alcune delle droghe utilizzate per anestetizzare un paziente che debba subire un intervento chirurgico possano determinare una NDE, sempre ammesso che il cervello sia funzionante. Ma nei casi di arresto cardiaco non viene somministrata alcuna droga ai soggetti da rianimare, che di norma sono in condizioni di incoscienza nel momento in cui qualcuno comincia ad intervenire su di essi con tecniche di rianimazione: sono dunque questi i casi di maggior interesse per chi voglia investigare l'origine delle NDE. Il processo di deterioramento delle cellule cerebrali a causa dell'anossia conseguente ad un arresto cardiaco (o ad un ictus cerebrale più o meno esteso) è descritto in dettaglio da Pim van Lommel, noto cardiologo olandese nato nel 1943, nel capitolo 8 del suo libro Consciousness Beyond Life - The Science of the Near-Death Experience (edizione inglese del 2010), intitolato appunto What happens in the brain when the heart suddenly stops (Cosa accade nel cervello quando il cuore improvvisamente si ferma): nel termine di alcuni secondi dalla cessazione del battito cardiaco, si interrompe il funzionamento tanto della corteccia cerebrale quanto del tronco encefalico, e di conseguenza la persona colpita viene a trovarsi in uno stato di completa incoscienza e di assenza di attività respiratoria. Se non si interviene con tecniche di rianimazione entro un determinato periodo i neuroni cerebrali vengono danneggiati in modo permanente: nel suo libro van Lommel stimava questo periodo nell'ordine dei 15 minuti, mentre attualmente si ritiene che – in condizioni ambientali particolarmente favorevoli (basse temperature) – l'inizio dei processi irreversibili di deterioramento cellulare in assenza di RCP (rianimazione cardiopolmonare) possa essere ritardato fino a oltre quattro ore. Nel libro citato, Parnia stima che, in condizioni ottimali, i neuroni possano essere mantenuti in uno stato di reversibilità fino ad otto ore dopo l'interruzione della fornitura di ossigeno. Dato che in questo periodo il cervello è in uno stato di completo blackout, come si può ragionevolmente ipotizzare che un'esperienza complessa come una NDE, e la sua memorizzazione, possano essere determinate dall'attività cerebrale? Anche coloro che avanzano e tentano di giustificare tale ipotesi sono costretti a destreggiarsi tra i tempi, in modo più o meno convincente, ma pur sempre privo di riscontri sperimentali, perché ovviamente – in accordo con quanto sostengono – nessuna esperienza cosciente può essere determinata da uno stato di inattività mentale. Dunque le NDE potrebbero verificarsi esclusivamente o prima del blackout dell'attività cerebrale che determina il venir meno della coscienza, oppure dopo, quando cioè l'ossigeno ricomincia ad essere somministrato al cervello tramite la riattivazione della circolazione del sangue. Qualsiasi altra ipotesi sull'attività del cervello in condizioni di anossia è da ritenersi arbitraria, dogmatica e non dimostrata, in quanto in contrasto con quanto attualmente sappiamo sul funzionamento cerebrale. Ma per quanto riguarda la localizzazione di una NDE nel tempo come da noi normalmente percepito (dato che lo sperimentatore ha una percezione del tempo del tutto diversa), è opportuno leggere le esperienze di NDE di persone annegate, come per esempio quella raccontata dall'ammiraglio Francis Beaufort (1774-1857) relativa ad un episodio di annegamento del quale egli stesso fu protagonista nel 1794 (la descrizione dell'esperienza è riportata nella pagina Testimonianze di una metamorfosi): anche in assenza delle attuali tecniche di RPC, che hanno lo scopo di ripristinare in percentuale molto ridotta l'apporto di ossigeno al cervello, la NDE subentra con continuità alle normali dinamiche psichiche di affanno e di lotta per la sopravvivenza derivanti dalla mancanza d'aria, determinando un radicale cambiamento nelle sintonie psichiche coscientemente percepite, fino a quando il progressivo ripristino della circolazione sanguigna non obbliga l'io cosciente a sintonizzarsi di nuovo sulle normali dinamiche psichiche determinate dal funzionamento dell'organismo. Ma anche in merito alla complessità ed ai rischi che la riattivazione del processo di ossigenazione può comportare per le cellule cerebrali – anche con le attuali tecniche di RCP, se non utilizzate con tutte le precauzioni che esse richiedono – consiglio di leggere con attenzione il capito 4 del libro di uno specialista come il dottor Sam Parnia, che spiega molto bene quanto lungo, complicato ed insidioso possa essere il ritorno alla normalità del funzionamento del cervello, in relazione alla durata del periodo di anossia. Dunque, è consigliabile procedere con consapevole prudenza ed esaminare con attenzione le informazioni ed i dati disponibili prima di avanzare ipotesi affrettate riguardo alla dipendenza di tutte le NDE dall'attività cerebrale. Le condizioni dell'organismo e l'io cosciente Le considerazioni precedenti non sono tuttavia sufficienti a provare in modo incontrovertibile la continuità dell'esistenza dell'io cosciente alla morte dell'organismo, soprattutto perché le NDE si verificano solo in una minoranza dei casi di coloro che sono stati riportati in vita dopo aver subito un arresto cardiaco: la maggior parte di questi pazienti non ricorda nulla, come è lecito aspettarsi alla luce di quanto sappiamo sulla sospensione dell'attività cerebrale in tali condizioni critiche. Nessuno dei ricercatori più impegnati e competenti nel campo delle NDE ha mai sostenuto che esse costituiscano una prova scientifica della sopravvivenza alla morte dell'organismo, anche se alcuni di loro sono convinti di questo fatto. Quello che possiamo affermare senza dubbio è che, in circostanze critiche per l'organismo, l'io cosciente può talvolta sperimentare sintonie psichiche appartenenti ad una dimensione diversa da quella della vita umana: ci si può riferire a quella dimensione come dimensione dello Spirito nei casi in cui le esperienze sono in armonia con quella che l'io sente come la sua più autentica essenza, in un ambiente permeato da una luce divina da cui irradia un amore assoluto, incondizionato e perfetto, che pervade l'io donandogli una beatitudine ineffabile. In qualche caso invece l'io cosciente viene coinvolto in esperienze psichiche negative, angoscianti, ripugnanti o addirittura infernali, senza che riesca a trovare le risorse per sottrarsi a questa condizione che lo tormenta e che non corrisponde assolutamente a ciò che sente di volere. In ogni caso, come abbiamo già rilevato, resta nei confronti del verificarsi delle NDE un elemento di aleatorietà con il quale dobbiamo pur sempre confrontarci, anche tendo conto del desiderio più o meno intenso dell'io cosciente – per chi lo sente – di poter accedere alla dimensione dello Spirito. Già Raymond Moody, nel suo libro Nuove ipotesi sulla vita oltre la vita (1977), riferiva che una delle domande che frequentemente gli venivano poste da qualcuno del pubblico nelle varie conferenze e convegni a cui partecipava, era: «Io sono morto e sono tornato alla vita; eppure non ricordo nulla. Che cosa non va?». Non riuscendo a trovare una risposta soddisfacente, Moody avanzava l'ipotesi alquanto ingenua che in questi casi le esperienze potessero essere rimosse nell'inconscio e di conseguenza dimenticate, senza riuscire a dare alcun ragionevole motivo per tale rimozione, trattandosi evidentemente di esperienze di così alto impatto emotivo e profondo significato, da imprimersi in modo indelebile nella memoria di coloro che le avevano vissute. Peraltro Moody conferma di non aver riscontrato differenze significative di atteggiamento verso la vita, di orientamento religioso, di sesso, di età o di cultura tra coloro che avevano avuto una NDE e coloro che non ricordavano nulla. Si potrebbe più ragionevolmente supporre che quando l'organismo si viene a trovare in condizioni di morte clinica oppure in circostanze che possono avere un esito mortale – come durante una caduta da un precipizio – possa scattare un meccanismo che libera l'io cosciente dalla sua dipendenza dal funzionamento del cervello, e che questo meccanismo si attiva precocemente in coloro che sperimentano una NDE, mentre non si attiva in coloro che non ricordano nulla una volta ritornati in vita. Non di rado, quando agli sperimentatori delle NDE viene comunicato che possono o devono rientrare nel corpo, qualche entità dell'altra dimensione ammette che c'è stato un errore, e che la connessione dell'io cosciente con l'attività cerebrale deve essere ripristinata: le cause dell'attivazione del meccanismo di liberazione dell'io cosciente potrebbero dunque essere tanto organiche quanto spirituali. Resta sempre l'impressione che il nostro destino sia determinato da qualcosa che sfugge al controllo dell'io cosciente, il quale non può fare altro che prendere coscienza – quanto meglio può, in relazione alle risorse di cui dispone – di ciò che gli accade di sperimentare, sia quando è collegato all'organismo umano, sia quando è eventualmente in grado di esplorare dimensioni diverse. Stando alle testimonianze di varie NDE, anche tra coloro che sono riusciti ad accedere alla dimensione dello Spirito, non pochi sono stati costretti a riconnettersi al loro organismo ed a ritornare a sperimentare la condizione umana, nonostante avessero sentito e manifestato il loro intenso desiderio di non voler tornare indietro. Evidentemente, così come accade nella vita umana, anche nelle altre dimensioni che l'io può sperimentare la coscienza registra armonie e dissonanze che, in fin dei conti, costituiscono la quintessenza di quel percorso evolutivo che deve portare l'io cosciente a raggiungere una perfetta sintonia con la propria autentica essenza. Al termine di quel percorso, ciò che l'io desidera, ciò che l'io ottiene e ciò che l'io sperimenta diventano una sola e medesima cosa. Queste considerazioni valgono anche nei confronti delle cosiddette NDE angoscianti, sulle quali conviene riflettere alla luce delle ricerche che sono state condotte su di esse a partire dagli ultimi anni del secolo scorso, soprattutto per merito dell'americana Barbara Rommer, medico ed autrice di Blessing in Disguise: Another Side of the Near-Death Experience (Un dono mascherato - Un altro aspetto delle NDE), pubblicato nel 2000, e di Nancy Evans Bush, alle esperienze ed al libro della quale abbiamo già fatto riferimento nella pagina dedicata alle NDE angoscianti. Già in questa vita l'io, via via che la sua coscienza si evolve mediante l'esperienza, si confronta con l'ambiguità e con la bipolarità delle sintonie psichiche che lo coinvolgono, differenziandosi progressivamente da tutto ciò che psiche umana lo induce a ritenere reale in base al potere di cui essa dispone, per acquisire una migliore comprensione della propria essenza più vera. Una volta che l'io abbia affrontato e superato quel processo di trasformazione che lo porta ad affrancarsi dalla condizione di automa controllato e guidato dalle dinamiche psichiche umane che dominano l'organismo e ne determinano comportamenti ed azioni – costringendo l'io cosciente ad identificarsi con le proprie sintonie psichiche ed a difenderle – esso può scoprire in se stesso il riflesso di quella dimensione dello Spirito che viene sperimentata in molte NDE. La dimensione dello Spirito non è altro che la rivelazione coscientemente sperimentata dell'autentica essenza dell'io, liberato dalle sovrastrutture e dai condizionamenti determinati dalla vita organica e sedimentati in tanti programmi socioculturali. Il ritorno dell'io cosciente alla vita organica dopo una NDE comporta spesso una trasformazione della relazione tra l'io ed il proprio organismo: anziché sentirsi imprigionato in quest'ultimo, e dominato dalle istanze naturali, dagli istinti e dalle pulsioni che la vita organica comporta – pur se socialmente elaborati, trasformati e mitigati dai programmi culturali acquisiti – l'io cosciente spesso ristabilisce con il proprio organismo una relazione di amichevole collaborazione, che lo porta a sperimentare anche la vita organica in un'ottica completamente nuova. Anzitutto, nello studiare e nel comprendere la complessità dell'organismo e del suo funzionamento nell'ambito delle interazioni e degli equilibri con tutti gli aspetti del mondo naturale, l'io resta affascinato anche dalla bellezza misteriosa ed insondabile della creatività della natura, così come si manifesta in questo mondo, con quelle che esso può interpretare come le sue luci e le sue ombre. L'io si rende conto di come sia poco evoluta e non intelligente la pretesa di avvilire o disprezzare l'organismo in nome di una presunta superiorità dominatrice dello spirito, almeno fin quando l'io stesso è assoggettato all'esperienza della vita organica in questo mondo. Resta comunque il fatto che nella dimensione della vita organica il tempo scorre in un'unica direzione, e l'io deve fare i conti con il progressivo deterioramento dell'organismo – che può tenere entro certi limiti sotto controllo, almeno fino ad un'età avanzata – e col processo terminale della morte, per cause naturali oppure come conseguenza delle azioni violente (o autodistruttive) determinate dalle dinamiche psichiche che determinano molti comportamenti umani. L'interesse dell'io cosciente nei confronti delle esperienze alle quali potrà eventualmente andare incontro una volta superata la fase della morte è ben comprensibile, non solo alla luce di quella tensione mentale e culturale che induce l'io ad immaginare e prefigurare il proprio futuro e ad orientare la propria attività in modo da ottenere determinati risultati, ma soprattutto perché la condizione umana – vincolata al funzionamento dell'organismo – gli appare aleatoria, incerta ed instabile via via che il tempo della sua vita scorre in avanti, avvicinandosi sempre più al termine. Nel migliore dei casi, l'io può continuare a mantenere il proprio interesse per quegli aspetti psichici e sociali legati alla vita organica che più lo coinvolgono, preparandosi tuttavia a quel radicale cambiamento di dimensione determinato dal processo della morte, per affrontare il quale dovrà eventualmente contare sull'assistenza di entità spirituali, dato che l'aiuto che gli può essere offerto dagli esseri umani può servire tutt'al più a riportarlo nella dimensione della vita organica. Infine, coloro che vogliono continuare a credere che con la morte dell'organismo venga meno la possibilità stessa di qualsiasi forma di continuazione dell'esistenza da parte dell'io, sono ovviamente liberi di farlo: devono tuttavia riconoscere che, così come non sono dipesi da loro stessi la formazione e lo sviluppo del loro io cosciente come conseguenza della vita organica, anche l'eventuale coinvolgimento del loro io in altre esperienze in dimensioni accessibili dopo la morte potrebbe non dipendere da quello che credono... oppure potrebbe proprio rendere reale quello che credono! Elementi di oggettività presenti in molte NDE Eppure quello che risulta più sorprendente – come Moody mise in evidenza già nel suo primo libro, è come è stato confermato in seguito da altri ricercatori – è la costanza con cui si manifestano alcuni particolari aspetti nella maggior parte delle NDE: questo fa sì che si possa far riferimento ad un'esperienza reale e quasi oggettiva del trasferimento dell'io cosciente nella dimensione dello Spirito, che certamente presenta elementi individuali variabili da caso a caso, ma che – nella pluralità delle narrazioni – consente di identificare aspetti specifici comuni a molte esperienze, come la separazione dall'organismo, la luce, l'amore, la beatitudine, le presenze spirituali, la revisione della vita, ecc. È stato così possibile elaborare quel modello teorico standard di NDE, che Moody presentò già nelle prime pagine di LIfe After Life, al quale poi lo stesso autore ed altri studiosi hanno fatto riferimento, integrandolo con altri elementi via via che il numero di narrazioni di NDE aumentava. Siamo dunque molto lontani – almeno per quanto riguarda la dimensione dello Spirito – dall'aleatorietà soggettiva delle esperienze di tipo allucinatorio o da altre forme soggettive di creazione ideoplastica fondate sull'immaginazione: la dimensione della Luce, nei vari aspetti che la contraddistinguono, manifesta una propria realtà dalla quale l'io cosciente si sente particolarmente attratto, ma alla quale attribuisce un'esistenza autonoma ed indipendente rispetto all'elaborazione mentale individuale con cui viene percepita, non diversamente da quanto accade per la realtà del mondo fisico. Ovviamente, non abbiamo elementi per stabilire quali ptrebbero essere le successive esperienze dell'io cosciente una volta varcata definitivamente quella soglia di non ritorno che segna la definitiva conclusione della vita di quel particolare organismo al quale l'io è stato collegato nella sua esperienza umana. Nell'ultimo mezzo secolo si è progressivamente delineata una cultura delle NDE che fa affidamento proprio sugli elementi concordanti e positivi presenti nella maggior parte di queste esperienze: il fascino culturale esercitato sull'io cosciente della grande maggioranza di coloro che non hanno mai avuto una NDE risiede nella prospettiva di poter sperimentare direttamente, alla morte dell'organismo, quegli elementi che vengono oggettivamente attribuiti alla dimensione dello Spirito – sulla base delle testimonianze di molti di coloro che hanno potuto sperimentare una NDE – e dai quali l'io si sente profondamente attratto, proprio perché la realtà della condizione umana lo ha spesso costretto a sopportare dinamiche psichiche di tutt'altro genere. Mi sembra evidente, per esempio, che se il bisogno di sentirsi amati non fosse connaturato all'io cosciente, il sentimento di amore incondizionato, misericordioso e completo che irradia dalla Luce divina non eserciterebbe quell'attrazione che invece esercita, in misura tanto maggiore quanto più l'io – tramite il suo organismo – ha dovuto subire, nel corso della vita umana, l'esperienza del non sentirsi amato, o addirittura del sentirsi rifiutato. Abbiamo già più volte evidenziato come la stranezza del destino individuale determinato dalle condizioni in cui l'organismo nasce e si sviluppa, e di conseguenza dalle risorse di cui può disporre, si rifletta poi sull'evoluzione dell'io cosciente, che spesso viene così condizionato ed asservito dalle esigenze dell'organismo, da identificarsi completamente con le sintonie psichiche che lo coinvolgono fino a non riuscire più nemmeno a rivendicare una propria esistenza ed essenza autonoma. Sono proprio le forti differenze tra i destini individuali degli umani a riflettersi sull'io cosciente, inducendolo a meditare sulla propria autentica natura ed a chiedersi se essa – una volta che l'io abbia preso le distanze dalle dinamiche psichiche in cui viene coinvolto – non sia in fondo la stessa per tutti gli esseri umani, indipendentemente dal destino personale riservato ai singoli organismi. Il fatto è che, per quanto riguarda la vita umana, è proprio la frammentazione in una molteplicità di organismi a creare le premesse per la singolarità dell'esperienza individuale: ciascun io è separato e distinto dagli altri io, oltre che dalle caratteristiche e dalle risorse del proprio organismo, anche dalla sperimentazione della gamma di sintonie psichiche che gli è propria e che si differenzia da quella degli altri. È teoricamente possibile immaginare l'io come un'entità, caratterizzata dalla pura coscienza, che trascende tutte le singole esperienze individuali – temporanee e mutevoli – determinate dalla psiche umana, ed in qualche caso potremmo anche riuscire a mettere a fuoco la mente su tale condizione, identificandoci con la coscienza cosmica: si tratta tuttavia di un'esperienza di ordine spirituale, ben distinta dalle ordinarie esperienze psichiche che coinvolgono l'io cosciente in questa vita. Inoltre, per quanto riguarda il processo di comprensione delle esperienze altrui, è impossibile sapere cosa stia realmente provando un altro io cosciente, e soprattutto in che modo stia elaborando un'interpretazione di ciò che sperimenta in base al livello di evoluzione che ha raggiunto. Ciò che di solito riusciamo a sperimentare – anche con le migliori intenzioni, quando cioè vogliamo veramente cercare di capire quale sia lo stato d'animo di un'altra persona – è una condizione di risonanza con le dinamiche psichiche sperimentate dall'altro, interpretate però alla luce dell'essenza del nostro io cosciente. Noi possiamo anche sentire il desiderio di alleviare le sofferenze altrui, perchè interpretiamo le esperienze psichiche che determinano quelle sofferenze come se fossimo noi a sperimentarle, mentre in realtà le sta sperimentando un altro io cosciente, il quale tutt'al più può cercare di illuminarci sulla propria esperienza. Per coerenza, dovremmo poterci identificare anche con le sintonie psichiche sperimentate dall'io cosciente di un criminale, quelle che inducono il suo organismo ad agire con violenza e crudeltà nei confronti degli altri. In definitiva, è solo con il trasferimento nella dimensione dello Spirito che l'io cosciente riesce a liberarsi dai condizionamenti e dai limiti costituiti dalla connessione con il proprio organismo, sperimentando una condizione nella quale le risorse di empatia e di comprensione reciproca possono essere notevolmente ampliate. Come ho già osservato, dal 1975, anno in cui Raymond Moody pubblicò il suo primo libro (La vita oltre la vita), è stata raccolta una documentazione di molte migliaia di testimonianze di NDE, la maggior parte delle quali si sono verificate in una condizione realmente critica per l'organismo, tanto che Sam Parnia ha proposto di definirle Actual-Death Experiences (ADE, Esperienze di morte reale), proprio perché l'organismo è effettivamente in condizione di morte clinica, anche se tale condizione si dimostra non irreversibile. Via via che tali testimonianze si accumulavano, gli studiosi erano colpiti in modo particolare dalla somiglianza e dalla coerenza degli aspetti relativi al sentimento ineffabile di beatitudine, di armonia e di appartenenza sperimentato dall'io cosciente nella dimensione dello Spirito, alla presenza di un'entità divina personalizzata irradiante luce, amore, benevolenza e comprensione, ed all'intenso desiderio dell'io cosciente di restare per sempre in quella dimensione, percepita come la propria autentica dimora. Non di rado l'io, nel corso delle NDE, sperimenta anche una forma di conoscenza cosmica perfetta, completa ed assolutamente soddisfacente, di cui tuttavia, al rientro nella condizione umana, poteva conservare solo il ricordo dell'esperienza, ma non dei contenuti o delle risposte ottenute. Nella maggior parte di queste NDE già nella fase iniziale, quasi sempre coincidente con un'esperienza di uscita dal corpo e di osservazione esterna dall'alto (vicino al soffitto), di quello che l'io riconosce come il proprio corpo (nei confronti del quale prova ora un sentimento di distacco e di indifferenza), l'io sperimenta una condizione di pace, di tranquillità e di benessere, e soprattutto si sente liberato da tutti quei tormenti fisici determinati dalla sua connessione con l'organismo. Solo in una minoranza di casi la fase iniziale presenta elementi inquietanti – dovuti alla presenza di entità malevole che deridono, ingannano o tormentano l'io, oppure a sentimenti angoscianti di vuoto e di solitudine eterna – che in genere si risolvono quando l'io riconosce la presenza di una luce, anche se molto lontana, oppure invoca l'aiuto di un'entità divina che intervenga per salvarlo. NDE spaventose, angoscianti ed infernali Purtroppo questo quadro confortante, attraente e positivo che inizialmente sembrava caratterizzare, seppur in diversa misura, tutte le NDE di cui i ricercatori venivano informati, è stato turbato dalle testimonianze relative ad alcune esperienze negative, disturbanti ed angoscianti per tutta la loro durata. Abbiamo già visto come alcuni elementi relativi a visioni di ambienti infernali o alla presenza di entità demoniache, più o meno fastidiose o tormentanti, possono essere presenti anche nelle fasi iniziali delle NDE che poi si evolvono positivamente, in modo che l'io cosciente, dopo aver sperimentato un ambiente ostile ed avverso – se non addirittura infernale – possa poi accedere all'accogliente dimensione dello Spirito. Ma in tutti quei casi in cui l'esperienza termina con il ritorno alla vita organica, prima che vi possa essere un'evoluzione verso la fase positiva, e senza che le risorse attivate dall'io cosciente per sottrarsi all'intensa angoscia indotta dall'esperienza (comprese le invocazioni ad un'entità salvatrice) abbiano prodotto alcun effetto, si pone un problema interpretativo e personale non indifferente, dato che la bipolarità che caratterizza la psiche umana sembra essere presente anche nell'aldilà. Anzitutto, come spesso accade a coloro che sono tormentati da qualche forma di sofferenza, l'io cosciente può sentirsi in qualche modo colpevole – e punito – per il solo fatto di essere afflitto: ora poi che le informazioni e le indagini sulle NDE sono così diffuse, coloro che sono al corrente di tutte le testimonianze di esperienze positive e luminose possono comprensibilmente interrogarsi sulle ragioni per cui hanno dovuto invece sopportare una NDE spaventosa, angosciante o perfino infernale. È dunque interessante sapere cosa è stato accertato finora in merito a queste esperienze negative. Un libro pubblicato nel 2012, tuttora molto valido per la valutazione delle NDE angoscianti è Dancing Past the Dark: Distressing Near-Death Experiences (Danzando oltre l'oscurità: NDE angoscianti) di Nancy Evans Bush, di cui ho già ampiamente parlato nella pagina dedicata a tali esperienze. L'autrice ha pubblicato in seguito altri due libri: nel 2016 The Buddha in Hell and Other Alarms (Il Budda all'inferno ed altri allarmi) e nel 2020 Reckoning - Discoveries after a traumatic NDE (La resa dei conti - Scoperte dopo una NDE traumatica). Gli aspetti importanti da tener presenti in relazione alle NDE negative sono essenzialmente i seguenti: 1) Sono, a tutti gli effetti, esperienze che presentano gli stessi requisiti di realtà e di coinvolgimento dell'io cosciente delle NDE positive, dunque non possono essere liquidate come esperienze allucinatorie determinate dal funzionamento del cervello, senza che tale interpretazione non venga poi estesa anche alle NDE positive, a meno di non riuscire a trovare una sostanziale differenza nei fattori che causano l'uno o l'altro tipo di esperienza. 2) Le ricerche effettuate indicano che non vi sono prove a supporto dell'interpretazione convenzionale secondo la quale le persone buone andrebbero soggette ad NDE positive, mentre i malvagi ed i suicidi sperimenterebbero NDE negative: contrariamente a quanto si potrebbe credere, anche ottime persone hanno avuto NDE molto penose, mentre suicidi e perfino criminali hanno sperimentato amore e beatitudine. 3) Sebbene le NDE negative rappresentino una netta minoranza di tutte le NDE (con una stima massima del 20% dei casi), le ricerche fino ad oggi condotte non sono riuscite ad individuare nessun fattore che possa rendere una persona incline a sperimentare una NDE positiva o una angosciante (oppure ad avere un blackout completo). 4) Al contrario delle NDE positive, quelle negative non presentano elementi caratteristici e coerenti, ma sono molto più aleatorie nei loro contenuti, e non di rado gli aspetti penosi ed angoscianti sembrano da attribuire più alle reazioni psichiche che coinvolgono l'io cosciente dello sperimentatore che non alle caratteristiche oggettive dei contenuti stessi. Il tentativo compiuto da Nancy Evans Bush di interpretare in modo positivo – in relazione all'evoluzione dell'io cosciente – sia la NDE angosciante da lei stessa sperimentata all'età di 28 anni, sia altre NDE negative, presenta a mio parere un inconveniente di non poco conto. Prendendo in considerazione l'eventualità che l'io cosciente, una volta liberato dalla condizione organica di questa vita, possa sperimentare dimensioni alternative che possono rivelare aspetti tanto paradisiaci quanto infernali, la studiosa estende a queste altre dimensioni la bipolarità che caratterizza la psiche umana: la dimensione dello Spirito, infatti, si caratterizza proprio per il fatto di non essere bipolare, e se si dà per scontato che ogni aspetto dell'esistenza deve prevedere anche il suo contrario, e dunque se esiste un paradiso deve esistere anche un inferno – così come di fatto accade in questa vita – anche la dimensione dello Spirito viene relativizzata, negando valore all'esigenza propria dell'io cosciente di voler superare la tensione generata dalla bipolarità della psiche umana. Così come in questa vita la nostra stessa felicità può essere sempre turbata dal fatto di sapere che mentre noi siamo felici perché la vita ci sorride, altri esseri umani stanno soffrendo perché così impone loro il destino, senza che ne conoscano la ragione (e noi stessi non possiamo mai essere sicuri che la nostra felicità di oggi non possa trasformarsi, domani, in sofferenza ed in angoscia), se anche le dimensioni dell'aldilà fossero caratterizzate dalla stessa bipolarità, come potrebbe l'io cosciente sentirsi felice in un eventuale paradiso, sapendo che un suo simile, o addirittura una persona che esso ha conosciuto bene, sta soffrendo in un eventuale inferno? E soprattutto, da quali entità, o da quale organizzazione, dipenderebbe quel particolare destino che porterebbe a sperimentare individualmente per alcuni il paradiso e per altri l'inferno, senza aver offerto un quadro sufficientemente chiaro ed affidabile delle scelte personali che possono determinare l'uno o l'altro esito? Le ragioni che hanno indotto la Evans Bush ed altri studiosi a ricercare un significato positivo anche nelle NDE penose o angoscianti sono senz'altro comprensibili e più che giustificate in relazione all'attività mentale che determina le sintonie psichiche negative in cui l'io cosciente viene coinvolto: d'altra parte, non ci si può attendere che all'età in cui l'autrice ebbe la sua NDE angosciante (28 anni) il suo io cosciente avesse già compiuto notevoli progressi nel percorso evolutivo di separazione critica dalle proprie dinamiche psichiche (di fatto, la studiosa all'epoca non conosceva nemmeno il simbolo della bipolarità yin-yang), e dunque non c'è da sorprendersi di un'interpretazione dell'esperienza che tende a mettere in evidenza proprio l'importanza, per l'io cosciente, di confrontarsi con la bipolarità della psiche umana. Tuttavia l'importanza della dimensione dello Spirito risiede proprio nel fatto che, nell'accedere ad essa, l'io cosciente si sente liberato dalla tensione generata dalla bipolarità che caratterizza la psiche umana: in quella dimensione l'io trova quel riposo, quella pace, quella felicità e quell'amore a cui aspira, eventualmente per ristorarsi e per ricaricare le batterie – per così dire – tra un'esplorazione e l'altra. Dunque il problema che l'io cosciente si trova caso mai a dover affrontare e risolvere è costituito dalla capacità di accedere alla dimensione dello Spirito, e dalla possibilità che esista una correlazione tra le azioni ed i comportamenti determinati dalle scelte compiute dall'io durante la vita umana e le difficoltà incontrate prima di poter accedere alla dimensione dello Spirito. Non vi è dubbio, infatti, che alla luce di un numero molto grande di testimonianze di NDE esaminate, una volta che l'io cosciente si trovi irradiato dalla luce dello Spirito, esso non viene né giudicato né condannato, ma solo aiutato a comprendere ed a valutare le implicazioni e le conseguenze dei suoi comportamenti umani, delle sue decisioni e dei suoi stessi pensieri. La strana condizione in cui l'io cosciente viene a trovarsi nel corso della vita umana lo porta spesso a doversi confrontare con situazioni e dinamiche che esso né comprende né riesce a valutare correttamente, pur dovendo sopportare le conseguenze delle proprie decisioni e delle proprie azioni. La naturale ed ingenua fiducia con cui l'io si affida alle proprie dinamiche psichiche, dalle quali viene coinvolto ed irretito e con le quali spesso si identifica, lo espone costantemente al rischio di essere illuso, ingannato e deluso, come conseguenza della relazione che intercorre tra gli eventi di questa realtà fisica ed organica e le reazioni psichiche che ne derivano. La capacità di controllare, almeno in parte, la complessità di queste dinamiche mediante la conoscenza e l'azione costa all'io cosciente impegno e fatica, ed anche in questo caso non sempre i risultati corrispondono alle aspettative. Se questa è la condizione di esplorazione e di rischio nella quale l'io viene coinvolto – in una forma o nell'altra, a seconda del destino individuale – durante la vita organica, è importante anche riflettere sui programmi che determinano la complessità di questo strano gioco, ed eventualmente sui poteri dei programmatori e sulle modalità con cui tali poteri vengono in parte trasferiti sugli esseri umani (o sugli automi umani) che prendono parte al gioco stesso. Fintanto che l'io cosciente è costretto a sperimentare dimensioni diverse da quelle della vita organica, ma nelle quali è soggetto a tensioni psichiche – a volte intensificate – analoghe a quelle che ha dovuto sperimentare durante questa vita, non si può parlare di liberazione dalla condizione di subordinazione in cui viene a trovarsi nei confronti delle forze (o delle entità) che gestiscono i programmi di questo o di altri mondi. Solo nella dimensione dello Spirito l'io può sentirsi veramente liberato dallo stato di condizionamento, di tensione, di illusione e di servizio a cui ha fatto l'abitudine nella sua condizione umana. Questo è il motivo per cui coloro che hanno potuto sperimentare – anche se non in modo permanente – l'esistenza del loro io cosciente in quella dimensione, spesso la celebrano come un vero ritorno a casa.
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